Caro direttore,
con la riunione preliminare di oggi, lunedì 16 giugno, inizia l’esame di stato di questo anno scolastico 2013/2014. È la riunione di insediamento delle commissioni e si svolge in tutta Italia nello stesso modo: un momento per lo più di carattere formale, ma che pone già delle questioni decisive rispetto allo svolgimento stesso degli esami. 



Le vorrei semplicemente indicare, nella consapevolezza che poi ogni commissione avrà lo spazio e il tempo per sviluppare una sua fisionomia, ma in ogni caso dovrà fare i conti con queste questioni e in qualche modo decidere come comportarsi. 

La prima questione di fronte a cui le commissioni saranno poste sono tutti gli adempimenti formali, che non entrano nel merito dei contenuti delle prove ma che sono decisive rispetto alla loro correttezza, e quindi alla loro validità. Niente da dire: le regole dell’esame sono precise, per cui bisogna che vengano rispettate. C’è solo da augurarsi che non divengano delle gabbie tali da non permettere ai commissari di essere protagonisti della valutazione, trasformandoli in puri esecutori di operazioni di somme e divisioni. Un esempio per tutti è quello delle griglie: facciamole, ma è l’insegnante che usa le griglie o sono le griglie a usare l’insegnante? Sarebbe interessante che ogni commissione se lo chiedesse nel decidere l’impostazione da dare all’esame, non perché si debba arrivare ad un comportamento univoco, ma perché si possa garantire la libertà di ognuno, però sapendo che si va a valutare delle prove e quindi si entra in rapporto con chi le effettua, gli studenti. 



La seconda questione sono proprio loro, studentesse e studenti. Gli esami sono fatti per loro, e qui sta la questione seria dell’esame di stato, che si debba mettere ognuno di loro nelle condizioni migliori per poter esprimere il meglio di sé. 

Sono molti i fattori che caratterizzano un esame di stato: vi è una preparazione che li precede, vi sono le prove scritte e quelle orali, vi sono le dinamiche psicologiche e il tempo in cui queste prove si svolgono, per questo la domanda su che cosa significhi fare un esame di stato è quanto mai importante. Ogni insegnante, ogni commissione deve decidere se mettersi dal punto di vista di chi vuole un certo tipo di risultato, quello delle griglie, e quindi giudicare in base ad esso, oppure se usare le prove per capire chi sono gli studenti che ha di fronte, quale storia hanno avuto, che competenze hanno maturato. Vi sono due tipologie di esame, entrambe legittime, quella in cui tutto si gioca sulla raccolta di dati per esprimere un giudizio, e quella in cui si entra in rapporto con chi deve affrontare l’esame.  



Bisogna che ognuno si chieda quale sia la più ragionevole di queste due tipologie. 

La terza questione che emergerà durante lo svolgimento dell’esame riguarda il valore che ogni insegnante attribuisce alle prove. Sarà inevitabile che ogni insegnante si chieda che valore ha questo tipo di esame, un esame che di fatto è impossibile da sostenere perché in pratica è su tutti i programmi dell’ultimo anno, mentre dovrebbe saper riconoscere le competenze di ogni candidato. 

Ad oggi la cosa è impossibile, perché gli insegnanti per lo più ragionano in termini di programmi e quindi rendono questo esame una follia. Diverso sarebbe, come a rigor di legge dovrebbe essere, un esame che sappia identificare le competenze, non se uno studente conosce o non conosce tutto, ma se sa usare la ragione e se lo sa fare secondo tutte le sue flessioni. Se gli insegnanti lo capissero e capissero quanto è assurdo chiedere tutto di tutto, procederebbero ad un esame in cui al posto di valutare le capacità di analisi andrebbero a vedere quelle sintetiche. Anticipando così la riforma dell’esame di stato come urge la nuova scuola voluta dal ministro Gelmini, ossia dandogli una impostazione sintetica. Tutti i commissari, a questo proposito, dovranno fare una scelta. A seconda di cosa decideranno di fare, gli esami saranno molto, molto diversi.