Caro direttore,
dopo aver letto la discussione iniziata il 29 maggio da Gianni Mereghetti vorrei fare una riflessione che nasce dalla mia esperienza di storico e di insegnante.
La mia formazione accademica è quella di uno storico del medioevo. Una passione, quella per il medioevo, che è nata nelle aule scolastiche, è cresciuta in università e ha trovato soddisfazione nella ricerca. La mia educazione non mi ha portato ad affinare una particolare strategia per insegnare il Novecento, eppure quest’anno nelle due classi di quinta liceo dove insegno sono finalmente riuscito a sfondare il “muro” della seconda guerra mondiale e concludere così le mie lezioni di storia parlando degli anni di De Gasperi, della Guerra fredda e del periodo della Distensione e dello sviluppo industriale nei primi anni 60. Posso ritenermi soddisfatto, ma questo appagamento non deriva da una semplice considerazione di carattere cronologico. Credo infatti che si possano insegnare a dei ragazzi di liceo i criteri fondamentali per interpretare il Novecento anche quando lo studio di questo secolo non è in grado di prendere in rassegna tutti i protagonisti che ne hanno segnato lo sviluppo.
Per spiegare la mia ultima affermazione vorrei citare una frase di Benedetto Croce che Ovidio Capitani, per anni ordinario di Storia medievale a Bologna e accademico dei Lincei, mi ripeteva nei corridoi del dipartimento di Medievistica dell’Università: «La storia è sempre storia contemporanea». Croce spiegava questa frase con il legame esistente tra il fatto storico e la storiografia contemporanea che lo analizza e lo studia, ma per Capitani questa frase era ancora più concreta e finiva per incidere in maniera evidente nella sua attività di accademico. Ho ancora nitido il ricordo di una sua lezione sul sistema di monetazione voluto da Carlo Magno e di come le sue parole mi avessero costretto a riflettere sul significato di una moneta unica europea che proprio in quegli anni stava entrando in vigore. Sono convinto che quella lezione m’abbia aiutato a comprendere un importante aspetto della contemporaneità più di tanti articoli di specialisti in economia, articoli che ho comunque letto perché attratto dalle parole del maestro.
A volte per capire il Novecento non è necessario conoscere tutto il Novecento. Lo studio della storia è un dialogo che si instaura tra un soggetto che cerca di capire le ragioni di ciò che vive e il passato; è nella definizione di questo rapporto che passa la differenza tra l’insegnamento della storia come possibilità di affinare le categorie interpretative per comprendere il mondo, e un insegnamento della storia che rischia di creare una specie di negozio di antiquariato pieno di chincaglierie luccicanti ma di cui spesso si ignora il senso.
I ragazzi che fanno esperienza di questo tipo di insegnamento della storia qualche settimana dopo la maturità dichiarano di non conoscere Aldo Moro e non sanno cosa è stata l’Assemblea costituente per l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, anche se questi argomenti sono stati trattati in classe. Magari la loro attenzione alla lezione è stata sincera, e forse quegli stessi ragazzi solo qualche giorno prima si erano addirittura preoccupati di fare memoria delle cose più importanti legate a questi protagonisti della storia recente. Ma allora cosa è successo? Una cosa molto semplice: questa storia era interessante per i ragazzi solo perché era indispensabile per superare la maturità.
Rendere efficace l’insegnamento della storia non è solo un problema di periodi storici su cui focalizzare la nostra attenzione. L’insegnante di storia non deve solo preparare alla maturità; egli ha una responsabilità che inizia a partire dalla prima ora in cui entra in classe: quella di aiutare i ragazzi ad aprire gli occhi sul mondo in cui si trovano a vivere. Solo sporcandosi con il fango nel quale i ragazzi vivono si possono fare quelle scelte indispensabili per una didattica che renda la conoscenza del passato innanzitutto conoscenza del presente. Anche per questo motivo sono sempre più convinto che in storia non esistano contenuti a priori, ma al contrario contenuti che si impongono come imprescindibili una volta compresi quegli aspetti che più toccano la storia e il vissuto di chi abbiamo di fronte.
A questo punto sarebbe opportuna una riflessione in grado di tirare in ballo non solo il mondo della scuola ma l’intera cultura storica del nostro paese. Le considerazioni che si potrebbero fare sono diverse, ma in questo contesto mi sembra opportuno evidenziare l’assenza, in Italia, di una seria riflessione rispetto alla didattica della storia rivolta non solo alla formazione degli insegnanti di scuola primaria. L’università spesso forma eruditi, ma è sempre più difficile trovare negli ambienti della storiografia contemporanea italiana autentici spazi di riflessione epistemologica. La scuola diventa così lo specchio di questa mancanza che a sua volta si esprime con mal celate ansie di dover far tutto.
Quella materia che forma l’ambiente storico nel quale i ragazzi vivono ha una composizione complessa ma è inevitabilmente impastata con le vicende che hanno segnato il Novecento. Non si può prescindere da questa considerazione. Ma l’insegnamento della storia di questo secolo non può essere imposto, né può essere il risultato di un equilibrio che il docente deve tenere nei confronti del programma (rischierebbe di essere comunque fallimentare). Esso deve essere l’esito di una riflessione contestuale e storiografica che ogni docente ha il dovere di fare; solo in questo caso si potrà cercare di rendere lo studio della storia come l’occasione per comprendere, al di là di ogni possibile retorica, il mondo.