“Anche la Silicon Valley ha la sua religione” (F. Chiusi, TRANS UMANO la trionferà; “l’Espresso”, 6 febbraio 2014). Può apparire strano accostare il termine religione al luogo per eccellenza deputato all’innovazione tecnico-scientifica. Eppure assistiamo in modo sempre più trasversale ad aspettative ultra-scientifiche rispetto alle possibilità della tecnica. Per esempio che qualche nostro prodotto un giorno possa sostituire parti e funzioni dei nostri corpi, consegnando il mistero del nostro io all’immortalità terrena, “depositandolo” su qualche supporto in silicio.
Una riflessione critica su questi temi non può non chiedersi cosa sia la tecnica, quale sia il suo rapporto con l’uomo, e se e come si possa giudicare questo rapporto. Innanzitutto una constatazione: l’uomo è “tecnologico” dal primo istante della sua comparsa sulla Terra, nel senso che da subito l’uomo cerca di intervenire sul reale, modificandolo a proprio vantaggio. Una prima manifestazione di questa capacità umana sono l’invenzione del linguaggio e della scrittura: tecniche che hanno permesso accumulo e trasmissione di conoscenze, facendo nascere e sviluppare tutte le altre capacità tecniche umane.
Da un lato la tecnica ha messo al riparo da stimoli anche mortali (freddo, caldo, intemperie, pericoli, ecc.), dall’altro ha permesso realizzazioni sorprendenti di progresso. Dalla scoperta del fuoco fino alla conquista della Luna, ogni risultato tecnologico ha delle ricadute sulla vita di tutti: la tecnologia è invasiva e pervasiva, e questo fenomeno di invasione capillare nella vita umana ha avuto un boom soprattutto negli ultimi 50-60 anni, grazie all’elettronica, vero “substrato” tecnologico che ha permesso la diffusione dell’informatica a tutti i livelli.
Quello che l’uomo ha fatto con la tecnologia ha qualcosa di miracoloso, e sembra a tratti in grado di modificare in profondità il rapporto fra uomo e realtà. Qualcuno, inebriato da successi sorprendenti, si sente autorizzato a ipotizzare un futuro nel quale il prodotto della tecnica non sia – come il famoso astrofisico Martin Rees sostiene – solo qualcosa di utile per svolgere compiti in condizioni proibitive per l’uomo, come per esempio dei robot in siti radioattivi, ma che il destino del rapporto fra uomo e tecnica debba portare a un superamento dell’umano.
Pur sembrando una possibilità in qualche modo intrigante, a ben guardare non trova riscontro nelle possibilità che la tecnica realmente promette. Se infatti è vero che le tecnologie possono in qualche caso arrivare a sostituire o surrogare parti, funzioni ed esperienze umane, il punto di irriducibile diversità dal substrato materiale proprio dell’uomo – la sua coscienza – ancora sfugge non solo a una parziale replicabilità, ma addirittura alla comprensione profonda da parte dell’uomo stesso. Sarebbe dunque da capire come si pensi che l’esperienza umana sia replicabile o “travasabile” fuori dal corpo umano, visto che non si ha chiaro cosa si dovrebbe manipolare e come farlo. È invece chiaro che le possibilità di connessione e di esperienze multimediali sono una immagine parziale dell’esperienza umana: un rapporto umano non è relegabile a una chat, un’esperienza sensoriale intensa non potrà mai essere sublimata in altra maniera, proprio perché pensiero e sensazioni formano un unicum che la persona vive integralmente e non potrà mai “spacchettare” in pezzi più o meno grandi.



Siamo dunque sul limitare di una “mutazione” genetica dell’uomo indotta da un prodotto umano? Se pensiamo alle sostituzioni dell’umano, dobbiamo per ora dire di no: la mutazione riguarda più che altro usi e abitudini, alle quali il nostro cervello si sta adeguando grazie alla sua plasticità. Per esempio è accertato che il modo di studiare è cambiato dall’avvento di internet: alla sequenzialità alla ricerca minuziosa delle fonti in polverose biblioteche si è sostituita la potenza dei calcolatori e la disponibilità di informazioni illimitate e spesso scoordinate fra loro. Questo è un bene o un male? Non esiste una parola ultima che ci metta al riparo dal giudizio sulle singole situazioni. L’ingresso delle nuove tecnologie a scuola, per esempio, è destabilizzante, ma è anche una grande opportunità. È perciò da guardare con favore, perché la tecnologia non è una cieca forza che inesorabilmente sopravanzerà l’uomo. È piuttosto una possibilità data all’uomo per migliorare la sua condizione materiale. Le ideologie transumaniste invece rispondono ad attese utopiche parascientifiche a carattere religioso e, in quanto tali, vogliono rispondere allo stesso desiderio di vita piena dell’uomo, ma tradendolo. Perché vogliono cancellare l’uomo. 
Per non farsi ingenuamente cancellare e raggirare non si può dunque dimenticare che l’uomo è guidato nel suo agire da un desiderio, che può liberamente perseguire nella ricerca di un bene che a tale desiderio risponda. Desiderio, libertà, idea di bene: da qui si può ripartire per un giudizio sulle singole situazioni che la tecnica offre e offrirà sempre di più al genere umano.

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