La traccia della prima prova della Maturità 2014 (Esami di Stato) a carattere storico come era stato ampiamente previsto ha a tema il centesimo anniversario dello scoppio della Prima guerra mondiale. I responsabili però dell’ideazione delle tracce hanno ampliato notevolmente il tema arrivando a paragonare quel momento storico con l’attuale situazione storica. Ecco infatti il titolo completo della traccia di carattere storico: “L’Europa del 1914 e l’Europa del 2014: quali le differenze?”. Ecco lo svolgimento a cura del nostro esperto.
Il 28 giugno del 1914 l’intera Europa fu scossa dalla notizia dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero austro-ungarico e nipote dell’Imperatore Francesco Giuseppe I. I colpi di rivoltella esplosi da Gavrilo Princip erano destinati a trascinare l’Europa del 1914 in una guerra infinita, che avrebbe stupito per dimensioni, prospettiva globale e nuove micidiali tecniche di combattimento. Quella che si apprestava a dividersi in due grandi blocchi contrapposti, fino ad allora non delineati con chiarezza a causa della segretezza diplomatica che circondava il lavoro delle cancellerie europee, era un Europa di Imperi e di Regni che sarebbe cambiata radicalmente nel corso dei cento anni successivi, proprio a partire innanzitutto da quel primo, gigantesco, conflitto bellico.
Di lì a poco, sarebbero crollati Imperi millenari come quello dello Zar Nicola II, trascinato a fondo dalla furia distruttrice di una rivoluzione prima popolare e poi bolscevica. L’Impero austro-ungarico, che per centinaia di anni era riuscito a sopravvivere alle sollecitazioni nazionaliste e centrifughe che dal suo interno tendevano alla dissoluzione istituzionale, subì un colpo mortale in seguito alla sconfitta subita da parte delle forze della Triplice Intesa, dividendosi in innumerevoli piccoli stati. Il secondo Reich e l’Impero Ottomano avrebbero fatto rapidamente la stessa fine. Il volto dell’Europa era destinato a cambiare per sempre, aprendo la strada ai nazionalismi totalitari del XX secolo. Ma non si trattò di uno shock legato solamente al livello istituzionale e politico: stava cominciando a cambiare il modo stesso di concepire l’individuo rispetto allo Stato. A questo proposito Eric Hobsbawm parlerà di “lungo Ottocento” e di “secolo breve” riferendosi al Novecento, identificando la fine di un’epoca politica e culturale solo con lo scoppio del primo conflitto bellico mondiale.
Dall’inferno delle trincee tornò una generazione traumatizzata, che Patocka definirà “degli scossi” e che Erich Remarque ha raccontato così efficacemente nel suo celebre libro “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Erano contadini, operai, artigiani che si sarebbero in seguito sentiti traditi da quello stato liberale e ottocentesco per difendere il quale erano andati a combattere e a rischiare la vita. Sarà questo uno dei principali motivi dell’affermazione del Nazi-fascismo in Italia e in Germania, un’ideologia in grado di garantire risposte semplici e chiare a chi pretendeva almeno qualcosa dopo aver rischiato tutto. In seguito alla seconda guerra mondiale, in cui queste stessa ideologia trascinò il mondo intero, nacque una nuova forma di Stato, quella Sociale, radicalmente diversa da quella ottocentesca e di stampo liberale, di cui reinterpreta numerosi principi ispiratori.
Se nel “lungo ottocento” di Hobsbawm lo stato nasceva per difendere il cittadino dai soprusi che la forza pubblica poteva esercitare su di esso, lo Stato novecentesco ruota intorno alla definizione che la nostra Costituzione Repubblicana dà all’articolo 3: lo Stato nasce ed esiste nella misura in cui si pone come obiettivo la rimozione “degli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Non uno Stato che fa limite a se stesso quindi ma uno Stato che, forte dell’esperienza passata in Europa occidentale con i regimi totalitari nazi-fascisti, si impegna in prima persona nella società. Si trattava per la prima volta nella Storia del mondo di impegnarsi a garantire a tutti una uguale possibilità di esercitare i diritti civili e politici, puntando all’eliminazione progressiva di ogni limitazione economica e sociale, verso l’obiettivo del raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale. Disposizioni analoghe a questa si trovano in molte delle costituzioni europee del secondo dopoguerra analoghe alla nostra, rappresentando un punto di svolta nella storia del rapporto fra individuo e Stato.
C’è un’altra possibile chiave di lettura per quanto riguarda le differenze che dividono l’Europa del 1914 da quella di cent’anni dopo e riguarda il suo rapporto con il resto del mondo. Per tutto l’Ottocento l’Europa rappresentò dal punto di vista economico, militare e politico, il fulcro nevralgico di tutto lo scacchiere internazionale. Atkinson Hobson dedicò nel 1902 una delle sue opere principali, dal titolo “Imperialism. A study”, proprio al tema dell’imperialismo europeo allora all’apice della sua espressione geopolitica. Il collegamento che Hobson stabiliva, e che poi Lenin riprese nel suo “L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo”, era fra il capitalismo industriale, con la sua cronica necessità di mercati nuovi su cui piazzare i propri prodotti in surplus, e la conquista di nuovi territori da parte delle potenze europee. Durante tutto il XX secolo, questa supremazia economica e politica europea andò progressivamente declinando a favore di nuove e più grandi potenze, dal mercato interno sull’ordine delle centinaia di milioni di consumatori, e con una potenza militare ormai impossibile da eguagliare, come gli Stati Uniti o l’Urss. Ma il declino dell’imperialismo europeo, comunque graduale e presente ancora nella seconda metà del XX secolo, come fenomeno geopolitico globale non eliminò il concetto stesso di imperialismo, proprio perché dettato non da una scelta ma da una necessità fisiologica del capitalismo stesso. Ad un imperialismo se ne sostituì un altro, in cui l’Europa svolse il ruolo di comprimario, quando non di oggetto stesso del desiderio delle superpotenze. La prova plastica di questo cambiamento, progressivo e graduale ma inarrestabile nel declino, fu la Crisi di Suez del luglio del 1956, in cui Francia e Inghilterra dovettero arrendersi all’evidenza della propria impossibilità nell’agire come protagonisti sullo scenario internazionale, rimettendosi alle decisioni prese nel dialogo Usa-Urss.
Alla luce di queste considerazioni, si può sostenere come il XX secolo sia stato forse il periodo storico più decisivo per l’evoluzione dell’Europa e dell’uomo europeo. Il numero dei cambiamenti e la rapidità con cui si verificarono, non hanno precedenti per portata e significato storico: forse ci apprestiamo ad assistere ad una nuova epoca simile pur di segno diverso, a partire proprio dalla fine del mondo che determinò quei cambiamenti. La dissoluzione dello spazio sovietico e la fine della guerra fredda infatti pongono nuove basi per lo sviluppo e l’evoluzione della storia europea ad ogni livello, istituzionale, politico, culturale, umano. Davvero infatti, come diceva Alessandro Natta, segretario del Pci fra il 1984 e il 1988, riferendosi alla fine del Muro di Berlino: “Qui crolla un mondo, cambia la Storia”. Forse, la stessa frase che molti avrebbero potuto dire all’indomani del 28 giugno 1914.