E’ andata in scena oggi anche la seconda prova dell’esame di maturità 2014 per gli studenti dell’Istituto professionale per i servizi sociali. La materia scelta dal Ministero dell’Istruzione è “Psicologia generale e applicata” e le tracce presenti nel dossier riguardano Marx, Tocqueville e la mobilità sociale. Riportiamo di seguito la soluzione elaborata dal sito specializzato ScuolaZoo.



La società è cambiata e, con essa, è cambiata la pubblicità.

Negli ultimi anni, infatti gli spot televisivi, i social network e i giornali non mirano più a diffondere il messaggio “il detersivo X lava meglio del detersivo Y, scegli il detersivo X per capi più bianchi” ma, cercano di far capire che, usando un certo prodotto ci si potrà identificare con i giovani belli, ricchi e potenti che usano quel determinato prodotto.



Non si comprano più i biscotti “più buoni” ma si comprano i biscotti capaci di evocare una dimensione di calore familiare, quelli scelti dalla famiglia felice del mulino bianco.

Come sostenuto dalla giornalista canadese Naomi Klein nel suo celeberrimo “No logo” negli ultimi vent’anni, fenomeno centrale, è stato quello del Branding, che ha cambiato totalmente il capitalismo e le dinamiche di lavoro. Se prima centrale era la fase di produzione delle merci, ora questa fase diventa marginale se non addirittura trascurabile. Le forze produttive e il denaro non vengono più impiegati in massima parte nella fase di “costruzione” del prodotto ma sul marchio, sulla proposta di una serie di valori immateriali ed ideali collegati allo stesso.



La pubblicità, come sostiente Bauman ne “Vita liquida”, ha quindi un ruolo sempre più centrale nella vita quotidiana in quanto non più capace unicamente di influenzare le scelte delle persone all’interno dei supermercati nel momento dell’acquisto, ma in quanto nuovo mezzo per influenzare la personalità stessa dei soggetti. Un’influenza che non si esplicita quindi solo nella decisione di acquistare un prodotto piuttosto che un altro per le sue qualità effettive ma che si esplicita soprattutto nel modo di vivere e nei desideri stessi delle persone. Allo stesso modo, anche gli eventi organizzati o sponsorizzari dai Brand mirano a consolidare e rafforzare l’immagine del marchio.

La sponsorizzazione di un evento sportivo (si veda ad esempio quanto fatto da RedBull negli ultimi anni), l’organizzazione di vere e proprie “maratone di solidarietà” (impossibile fare il nome di tutti i Brand del settore fashion coinvolti in questo genere di attività che spaziano da Marni a Hugo Boss), la scelta dei testimonial per i vari eventi: tutto mira a collegare il Brand a determinati valori e sensazioni. La spinta all’acquisto non è diretta, l’effimero viene usato come vero e proprio incentivo al consumo. Lo scopo non è quindi più la vendita immediata ma, come più volte sostenuto, la creazione di un universo di valori, sentimenti e modelli ispirazionali legati al Brand. Anche l’arte, in questo nuovo “mercato globale”, assume un diverso significato e valore. Come sostiene Bauman nella già citata “Vita Liquida”, la contesa che vedeva contrapporsi “manager” e “artisti” si è appiattita, tanto di poter quasi parlare, a detta dell’autore, di una “rivalità tra fratelli”.

Chi produce arte ha bisogno di qualcuno che la venda, chi vende arte ha bisogno della materia prima: i “manager” hanno quindi bisogno degli “artisti”, e viceversa. L’arte e la cultura, nelle loro diverse accezioni, sono diventata un prodotto qualsiasi, un prodotto che va venduto, ovviamente cercando di ottenere il massimo profitto. I galleristi, sostiene Bauman, eseguono studi di mercato per individuare i possibili clienti proprio come facevano, un tempo, le agenzie di pubblicità (si pensi ai celebri studi dell’agenzia Needham, Harper & Steers in tema di segmentazione del mercato). Questi studi non servono solo al gallerista per capire quale opera o quale artista scegliere ma permettono al gallerista di imporre all’artista che ha messo sotto contratto un certo stile, piuttosto che una certa tematica o un certo formato. Il “manager” arriva quindi a imporre il marchio e la distribuzione alle opere d’arte e alla cultura in generale, proprio come avviene per l’abbigliamento e gli altri prodotti di consumo.

La cultura non è più “rivoluzionaria”, il sistema economico mondiale, secondo Bauman, non ha più paura degli artisti che ora sa “controllare e recintare”. La cultura è solo “buona” o “cattiva”. Intendendo “buona”, ovviamente, la cultura che vende e ha mercato e “cattiva” la cultura che viene rifiutata perché poco commerciabile. Non esiste infatti altro criterio, oggi, per distinguere, il “valore dell’opera d’arte” e della cultura.

Conseguenza fondamentale di questa nuova visione dell’arte è la sua durata nel tempo. Viene a mancare ciò che costituiva uno dei principali elementi dell’opera d’arte, la sua “eternità immortale”, la sua capacità di resistere al tempo (come diceva Hannah Arendt “L’oggetto culturale resiste al tempo” e addirittura, secondo la Harendt, un oggetto poteva essere culturale solo in quanto capace di sopravvivere a qualsiasi utilizzo abbia potuto precedere alla sua creazione). Più il sistema economico spinge avanti velocemente, afferma Bauman, più anche le opere d’arte devono essere ammirate, usate e fruite velocemente per essere sostituite da nuove opere e permettere così al mercato di continuare a produrre ritorno economico (clicca qui per il link originale di scuola zoo).

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