Ci sono cose su cui la forza della diceria non si può frenare. Prendi la prova orale degli esami di maturità e il peggiore dei suoi miti, quello che per un anno occupa la testa dei maturandi: “i collegamenti”. Chissà chi riuscirà a estirpare la diceria, perché di diceria si tratta. La normativa degli esami, infatti, non pretende alcun collegamento. Al punto 7 c’è scritto: «Il colloquio ha inizio con un argomento o con la presentazione di esperienze di ricerca e di progetto, anche in forma multimediale, scelti dal candidato». Ripetiamo le parole della normativa: «argomento», «ricerca», «progetto». «Collegamento» non c’è. 



Ma vaglielo a spiegare ai maturandi, assetati di collegamenti! E prima ancora vaglielo a spiegare agli insegnanti, che da mesi glieli chiedono! Qui tocchiamo probabilmente il punto più basso della concezione dello studio. Mi auguro infatti che nessuno voglia dissentire dall’affermazione che studiare vuol dire scoprire qualcosa di nuovo. E invece cosa accade con l’ossessione dei collegamenti? Che si parte da un titolo generale (il viaggio, l’illusione, l’infanzia eccetera) per poi andare a caccia di collegamenti, ossia per costringere un autore di italiano e un autore di latino e un autore di filosofia e un autore di arte eccetera a dire quello che il maturando ha già deciso che debbano dire. «Io “porto” il viaggio: chi è che parla del viaggio in latino? chi è che parla del viaggio in filosofia? e in storia cosa posso portare? e in fisica?». Non ti interessa più scoprire cosa ha da dire Seneca, ti interessa che pronunci la parola “viaggio”. E via alle più strampalate, futuristiche e ridicole delle associazioni mentali. 



Come sarebbe diverso, invece, approfondire un «argomento» che ti incuriosisce davvero. Come sempre, ciò che ti piace è il punto di partenza migliore. Quale poeta ti ha colpito? o quale fatto storico? o quale teorema? Ti ha incuriosito Pirandello, per esempio? Benissimo, approfitta di questi giorni per andare fino in fondo alla tua curiosità, leggendoti Uno, nessuno e centomila, qualche novella, vedendo almeno i Sei personaggi. Senza il problema di incasellarlo a priori in un argomento: parti da Pirandello, non c’è bisogno di collegargli niente. Il collegamento sei tu! Pirandello c’entra con te, non devi farlo c’entrare con Bergson o con il fascismo o con Magritte. Togli il titolo preconfezionato, e mettici il tuo nome: questa tesina parla di te! 



Ti prego, lascia stare d’Annunzio che va con Nietzsche, Oscar Wilde e il fascismo, Svevo collegato a Joyce e Leopardi accoppiato a Schopenhauer. Per favore, vuoi “portare” (verbo orrendo!) d’Annunzio? Leggiti Il piacere, o Alcyone, altrimenti non lo “portare”. In queste settimane sarai l’unico a non andare al mare, e il popolo degli abbronzati ti additerà come un reietto, irridendoti, sfigato di un maturando: bene, che tutto questo sacrificio valga la pena! È la tua occasione! 

Spiega ai tuoi insegnanti che se colleghi 9 materie, e parli 5 minuti per ognuna, la somma evidentemente fa 45 minuti, e non gli rimane più tempo né per le famose altre domande (del cui senso o nonsenso parleremo un’altra volta) né per dialogare sulle tre prove scritte. Tieni presente, inoltre, che il giorno dell’orale dettagli banali finiscono per farla da padrone: il caldo, la stanchezza, se sei il primo o il terzo della mattinata, le beghe interne alla commissione. 

E tu che, dopo un anno di pensieri a vuoto, eri finalmente giunto all’intuizione da Nobel secondo cui, dato che il titolo della tua tesina – chissà perché mai – è “Il rosso”, e in filosofia giustamente porti Marx, passando da Rosso Malpelo di Verga a Rosso relativo di Tiziano Ferro in italiano, volevi approdare in fisica alla storia dei semafori e in chimica alla composizione della RedBull, ben sapendo che il commissario esterno ti avrebbe guardato in cagnesco aspettando ansiosamente per 3 minuti che tu la finissi con quella sbobba scopiazzata da Wikipedia e buona solo a nascondere che logaritmi non ne sai fare… invece, proprio nel momento del geniale volo pindarico da Tiziano Ferro ai semafori, tristemente vagando in cerca di considerazione da metroquadro a metroquadro della cattedra con la tua sedia rigorosamente incollata alle terga dal sudore di inizio luglio, hai scoperto, girandoti dalla parte di quello di matematica e fisica – che durante tutta la tua esposizione di Marx se n’è bellamente infischiato chiacchierando del Costa Rica con il collega di arte –, ecco, girandoti appunto per sferrargli contro l’arguto collegamento, hai notato il vuoto sulla sua sedia, scoprendo che se n’è andato un attimo in bagno perché dopo il gelato ci stava proprio, e allora quella di inglese ha interrotto il tuo sgomento gracchiando un odioso quanto incomprensibile “beh, visto che nel percorso porti Dickens, allora parliamo di Orwell”. 

Non girare con quella sedia, rimani fermo al posto tuo. Rimani anche in un quarto d’ora soltanto. Rimani pure su una sola materia o comunque in un discorso unitario senza collegamenti né interruzioni di materie o – se il coraggio non ti manca – come fece una mia amica che era stata in Nuova Zelanda con Intercultura, balla davanti alla commissione la danza maori dei rugbysti (per la cronaca: fu 100 e lode). E poi offriti al fuoco delle loro domande: immòlati, digli “sono qui, chiedetemi quel che vi pare”. Se hai la fortuna che siano intelligenti, potrebbe a quel punto anche capitarti di dialogare a tutto campo per approfondire quello che hai detto nel tuo quarto d’ora. 

Cosa hai da dire, questo è decisivo. Ammesso che tu davvero voglia parlare di viaggio o di infanzia o del superuomo, cosa hai da dire tu sul viaggio, sull’infanzia o sul superuomo? Non esiste solo l’argomento: qual è la tua ipotesi sull’argomento? e quale tesi sviluppi? con quali passaggi logici? Tutto questo è possibile se in quello di cui parli ci sei tu, se il tuo quarto d’ora vibra delle tue scoperte, se sei pronto a dialogare con gli autori, con i fatti e con i fenomeni. Un anno ho avuto i brividi ascoltando una tesina sull’orfanità, che ovviamente partiva dal X agosto di Pascoli, tanto asettica da rimanere gelati al pensiero che qualche mese prima proprio quella ragazza era rimasta orfana: sembrava stesse parlando di una cosa che esiste soltanto nei libri, e non nella realtà.

C’è bisogno di te, invece. Tutti i collegamenti fanno ridere, e li sanno già. L’unico collegamento che non sanno già è cosa diavolo c’entra quello che studi con te.