Nessun privilegio a chi nasce ricco. È la nuova tendenza, in totale contrasto con l’istinto iperprotettivo radicato, diffuso e trasversale, della serie “la mia vita è stata dura, ma per mio figlio sarà diverso, lui non partirà da zero come me…”. Una frase che d’ora in poi suonerà retorica e fuori tempo, persino di freno alla ripresa economica e al progresso sociale, dopo le dichiarazioni di Sting rilasciate in un’intervista al Mail on Sunday



“Non lascerò nulla ai miei figli, devono imparare a guadagnarsi da vivere” ha affermato la rockstar confermando che i 225 milioni di euro accumulati nella sua carriera sono già destinati a moltissimi progetti che assorbiranno importanti investimenti e che con questa scelta, in pieno accordo con sua moglie Trudie, intende evitare il rischio di contribuire alla crescita di una generazione di smidollati. Il suo messaggio travalica quindi i confini di una decisione personale e privata, assumendo i toni di un appello alla responsabilità: nel terzo millennio urge diffondere la persuasione che più temibile della fatica, sudore e precarietà, sia la mancanza di grinta e di desideri. Insomma benessere e sicurezza hanno già fatto troppi danni producendo figli incapaci di quell’immaginazione che solo la necessità spinge a trasformare nell’arte dell’arrangiarsi, preambolo obbligato per lo sviluppo di mentalità imprenditoriali e creative. 

Una lezione senza retorica, quella di Sting, un uomo partito dal nulla e arrivato al successo, padrone di quel processo vissuto sulla propria pelle, che ha saputo gestire traducendo autentiche ispirazioni e talento in fonte di reddito e ricchezza. 

Non è priva di provocazione e di fascino la sua lezione ai nostri giorni, in tempi di crisi che come ormai tutti sottolineano, ha origine antropologica, pesca negli stili di vita, e non può fare a meno di mettere in discussione il già fatto e programmato. Quante volte in effetti l’idea di facilitare il futuro dei figli aumentando bambagia e sostegno economico protratto nel tempo, ben oltre la conclusione degli studi, ha costruito una trappola dorata che chiude l’accesso all’autonomia invece di favorirlo? Eppure in tanti casi invece, specialmente nel nostro paese, proprio l’alleanza fra generazioni, che le famiglie sono in grado di esprimere concretamente anche grazie alla loro capacità di risparmio, ha consentito ai giovani di decollare, di affrontare un mutuo, di far conto su un finanziamento per avviare un’attività, di attraversare momenti di precarietà senza scivolare in un baratro. La “ricchezza delle famiglie”, per le generazioni che si affacciano sul futuro, rappresenta un’ancora salda, un punto di riferimento per orientare la rotta in una fase di incertezza, e la parola d’ordine, circa le risorse da mettere in campo, non può essere automaticamente la stessa, omogenea per tutti. 

Ma allora si rivela infondato il messaggio di Sting che lancia una “ricetta” anti-bamboccioni negando la sua cospicua fortuna ai sei rampolli per salvaguardarne la realizzazione? In realtà la sua provocazione va raccolta nella sua valenza globale, nel suo intento educativo da declinare secondo contesti e contingenze diverse. La sua eredità, che in termini economici non suggerisce facili paragoni data l’ingente consistenza − quanti si chiedono se destinare o meno agli eredi un capitale di oltre 200 milioni di euro? − contiene l’idea e la forza di un’esperienza vitale e decisiva da trasmettere, da consegnare intatta, più facilmente rintracciabile e percorribile senza la zavorra di una ricchezza materiale. È questo il suo richiamo prorompente, è questa la sua sfida reale.