Accertare le conoscenze e formare il carattere: ecco perché mantenere l’esame di terza media secondo Giorgio Chiosso. D’accordissimo, ma a una condizione: che sia sensato, cioè in qualche modo coerente con lo scopo della scuola del primo ciclo, la cui finalità è “l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva del pieno sviluppo della persona” (Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, settembre 2012).



Come accertare tale acquisizione? E come valutarla? Attualmente l’esame consiste in sei prove scritte, che testano il raggiungimento di importanti obiettivi di apprendimento relativi a quattro discipline (italiano, matematica, lingue straniere), e una prova orale, che consiste in un colloquio pluridisciplinare finalizzato a valutare “non solo le conoscenze e le competenze acquisite, ma anche il livello di padronanza di competenze trasversali (capacità di esposizione e argomentazione, di risoluzione dei problemi, di pensiero riflessivo e critico, di valutazione personale, ecc.)” (C.M. 48, 31 maggio 2012). Tale colloquio garantirebbe a tutte le discipline di avere giusta considerazione. 



Il voto finale in decimi, però, è il risultato della media aritmetica tra sette voti di cui solo due settimi tengono conto della complessità delle discipline (voto di ammissione e del colloquio pluridisciplinare), cinque settimi dipendono dalle quattro discipline oggetto di prove scritte. Scarso dunque il valore del voto di ammissione, che dovrebbe rispecchiare il percorso scolastico dello studente: non solo dunque misurazione del suo rendimento ma anche dell’impegno, della costanza nello studio, della consapevolezza delle sue risorse e dei suoi limiti, degli interessi sorti e approfonditi, di quelle competenze trasversali il cui raggiungimento è auspicato nelle Indicazioni nazionali ed europee, quali “imparare a imparare, le competenze sociali e civiche, il senso di iniziativa e l’imprenditorialità, la consapevolezza e l’espressione culturale”. 



L’equipollenza tra voti così diversi presenta notevoli incongruità: può la valutazione del percorso formativo di tre anni valere tanto quanto quella della prova di una disciplina, come la seconda lingua straniera, insegnata in due ore settimanali? Il voto di una prova strutturata come quella dell’Invalsi può essere equiparato a quello di una prova pensata per i propri studenti coerentemente con un percorso didattico e culturale condiviso, come il tema? E ancora: ha senso investire il colloquio pluridisciplinare di così tanta importanza quando vale solo un settimo del voto finale? 

Urge un ripensamento della forma e della valutazione dell’esame, che non può che sorgere dalla risposta a una domanda: quali sono le conoscenze e le abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base? Quali dei “traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola secondaria” fissati per ogni disciplina nelle Indicazioni nazionali sono davvero essenziali?  

Sulla loro valutazione dovrebbe concentrarsi l’esame finale e, per essere coerenti, sul loro raggiungimento il percorso didattico dell’intero triennio. Avendo anche il coraggio di riconoscere che le discipline, pur avendo tutte valore in quanto forme di conoscenza strutturate e verificate nel tempo, non hanno tutte lo stesso peso dal punto di vista pedagogico e didattico: nella scuola del primo ciclo la padronanza della propria lingua e la formazione del pensiero matematico sono sicuramente le competenze disciplinari fondamentali per introdursi nel mondo culturale, sviluppare la propria personalità, affrontare le altre discipline. A tali competenze si aggiunga, per ovvi motivi, la capacità di comunicare in lingua inglese. Le altre discipline contribuiscono a formare tale competenze secondo diversi punti di vista, arricchiscono il bagaglio culturale dello studente, gli permettono di verificare attitudini e interessi a fini orientativi, gli offrono ulteriori canali espressivi e  linguaggi con cui dire e dirsi.

Sarebbe dunque auspicabile un esame che verificasse il raggiungimento di tali traguardi di competenza con tre prove scritte relative a italiano, matematica, inglese, tenesse in dovuta considerazione il voto di ammissione e il colloquio pluridisciplinare con un sistema valutativo più simile a quello della maturità, in cui il voto finale è l’esito di una somma e non di una media. In questo modo si potrebbe dare maggior peso alla valutazione di quelle discipline che valorizzano l’intelligenza pratica e applicativa, l’operosità, la progettualità e l’espressione artistica, doti degli studenti normalmente indirizzati a studi superiori tecnici o professionali, attualmente molto penalizzati nell’esame finale. 

Assolutamente necessario infine separare le prove strutturate Invalsi dalle prove d’esame, così che possano ritornare ad essere utili nella valutazione del sistema scolastico (scopo per cui sono nate) e non del singolo studente.

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