Caro direttore,
mi spiace, ma la questione della storia i cui programmi non si riesce a completare non significa, da parte dei docenti, “essere fuori dal mondo”; significa che i programmi non si riesce a svolgerli, come che un insegnante di lettere si fermi a Montale non significa che sia fuori dal mondo, significa che il programma si ferma a Montale.
Troppo facile fare di ogni erba un fascio, mettere tutto insieme indistintamente. Facciamo ordine e chiariamo ciò che c’è in gioco e che con la riforma Gelmini diventerà ancora peggio.
Primo. Non è in questione se gli insegnanti siano o non siano fuori dal mondo, questo non si valuta sui programmi svolti per intero o per metà. Anche perché un insegnante potrebbe spiegare la caduta del muro di Berlino o il rapimento Moro ed essere ugualmente fuori dal mondo, questo bisogna dirlo, altrimenti si corre pericolosamente sul filo dell’ideologia. È scorretto usare la confessione di un programma non svolto per accusarmi di essere fuori dal mondo. È scorretto perché non è questo a tema. Se vogliamo metterlo a tema facciamolo, ma ponendolo con chiarezza e in modo diretto, non così, introducendosi in modo pretestuoso sulla questione dei programmi.
Secondo. Io non ho concluso il programma e lo riconfesso, ma perché ho insegnato veramente storia, ho svolto i contenuti in modo ampio e approfondito e sfidando gli studenti a valutare criticamente quello che imparavano. Qui sta la questione seria, che avendo fatto storia non ho svolto il programma! Vogliamo affrontare questo punto, che è il problema serio dell’insegnamento della storia? Ogni altra considerazione è ideologica, è fatta per evitare la questione che invece urge quanto mai, perché si deve arrivare ad un giusto equilibrio tra metodologia della storia e svolgimento del programma.
Terzo. Le strade per affrontare il problema sono due: 1. o una riforma strutturale dei programmi, ma completa e realmente strutturale; 2. o una vera autonomia, dove oggetto del lavoro non sia svolgere un programma ma educare delle competenze. In questo modo si svolgerà più efficacemente il programma!
Io sono per questa seconda soluzione, perché è solo l’autonomia che può ridare alla storia il suo valore di educazione a vivere le dimensioni del mondo.
La mia confessione è un grido per uscire dalle strettoie dei programmi, questo è il senso, non un’autoflagellazione. La questione seria è che così i programmi di storia non funzionano; dateci l’autonomia e li riformuleremo a partire dalle competenze.