La conclusione dell’articolo The mystery of language evolution, pubblicato nel volume di maggio di Frontiers of Psychology, a firma di un gruppo autorevolissimo di esperti di linguistica evolutiva e non solo, è tanto chiara quanto perentoria. Solo se si avranno scoperte significative dallo studio comparato del comportamento animale, della neurobiologia, della archeologia e della mappatura del gene-fenotipo, if and only if (e “These are big IFs“), si potrà dire qualcosa che sia accettabile scientificamente sull’evoluzione del linguaggio. La confutazione che viene fatta nell’articolo di Frontiers dell’ipotesi delle pressioni darwinistiche è probabilmente troppo articolata per essere considerata nel suo dettaglio, ma sicuramente se ne possono trarre alcuni spunti specifici relativi allo studio del linguaggio umano e due osservazioni di carattere direi “metodologico”.
1. Relativamente al linguaggio, il punto sicuramente più interessante riguarda l’individuazione della proprietà biologica dell'”infinità discreta” di Chomsky, uno degli autori dell’articolo, vale a dire la capacità tipicamente umana di “composizione illimitata di vari oggetti linguistici in strutture complesse”, cioè come da un numero finito di elementi si possa arrivare ad un numero infinito di espressioni; un concetto formulato da Chomsky anche come “povertà dello stimolo”. Un esempio proposto nell’articolo riguarda le leggi fonologiche che permettono ad un bambino di apprendere spontaneamente e inconsciamente la pronuncia del suffisso (ed) per i verbi in inglese, senza avere alcuna idea della differenza fra suoni sordi e sonori che regola la diversa pronuncia di questo suffisso; i bambini la usano con infallibile precisione, senza mai errare (a meno che non siano presenti specifici disturbi), sapendo anche applicare tale regola fonologica a nuovi verbi. L’esempio documenta in modo efficace quanto è l’essenza della potenza linguistica dell’apprendimento linguistico del bambino.
2. Il secondo punto interessante nell’articolo di Frontiers riguarda la sottolineatura della tendenza verso l’unificazione della teoria linguistica delle acquisizioni genetiche, neurobiologiche e cognitive relativi al linguaggio; una convergenza di studi a quanto pare necessaria, anzi, indispensabile, per studiare quanto appare come un oggetto intrigante e misterioso. Come ebbe a dire lo stesso Chomsky in un suo intervento del giugno 2010 a Parigi a proposito della capacità umana innata di apprendere un linguaggio, “concedetevi lo stupore davanti al mondo”.
Nota dolens, come Piattelli Palmarini ha poi avuto modo di denunciare sul Corriere a proposito dell’articolo di Frontiers e del perdurare di dogmi inconfutabili anche e sopratutto in ambiti scientifici, quali Evolution X, congresso biennale dedicato all’evoluzione del linguaggio: lo scientismo ha più seguaci della scienza; nemmeno interventi autorevoli e rigorosi possono intaccare il dogma di fede che l’evoluzione del linguaggio è “il risultato di pressioni selettive darwiniane esercitate dalla comunicazione e dalla cognizione in genere”. Inutile il monito, anzi, la censura della Societé de Linguistique de Paris già nel 1886 di qualsiasi indagine relativa alle origini del linguaggio in mancanza di evidenza certa; la tentazione, stimolata dall’abbondanza e visibilità di nuovi studi negli ultimi quarant’anni, di credere ed ancora credere nella verità assoluta della teoria evoluzionista del linguaggio ha conquistato menti e cuori. Nessun stupore davanti al mondo, bensì una fede cieca e fanatica in un dogma assoluto.
Chi si ritiene senza peccato scagli la prima pietra; se al docente di lingue (quale io sono) può interessare poco del perdurare della teoria evoluzionista del linguaggio, quanti degli assunti metodologici della pratica didattica sono veri e propri dogmi di fede, non discutibili e non rivedibili, tanto veri da far chiudere gli occhi di fronte ad evidenti fallimenti del proprio tentativo di formazione linguistica di molte giovani menti?
L’onestà intellettuale degli autori dell’articolo, che confutano in maniera rigorosa i vari studi di linguistica, comunicazione animale, matematica ed evoluzionistica, ammettendo che la risposta alla domanda “Come si è arrivati al linguaggio umano?” è ancora una domanda senza una risposta, e smentendo chi afferma il contrario, è il primo punto metodologicamente interessante del loro tentativo, nonché l’azione stessa da loro compiuta.
Ognuna della sezioni dell’articolo entra in merito ad un’area specifica, ad esempio affrontando gli studi del comportamento animale e l’utilità della comparazione fra il linguaggio dei primati, degli uccelli canterini e delle rane tungara, o l’utilità dei reperti fossili relativi all’Homo di Neanderthal al fine della determinazione della sua capacità (o incapacità) di avere un linguaggio, pur in presenza di caratteristiche simili nell’Homo sapiens. Ognuna della confutazioni è assolutamente rigorosa e specifica, ma è interessante notare che l’articolo si presenta come un unico contributo, quasi a sottolineare che solo un’altissima specificità disciplinare, unita ad una comune passione all’indagine scientifica, e non scientistica, possono permettere un reale progresso scientifico, fosse anche quello di ammettere che anche molto, forse tutto, rimane ancora da farsi. E che il mistero dell’evoluzione del linguaggio umano rimarrà, fino a quando non si avrà prova evidente della validità di una o dell’altra teoria, “one of the great mysteries of our species” – “uno dei grandi misteri della nostra specie” (italics mine); Uno, sembrerebbe, fra molti.