A giorni alterni fioccano le percentuali sulla disoccupazione giovanile, che oscilla intorno al 43 per cento. Nel frattempo emergono le prime riserve su Garanzia Giovani, il programma europeo antidisoccupazione giovanile che in Italia è attuato dalle regioni. Il Corriere di recente ha dedicato un editoriale di Maurizio Ferrera ai problemi della Garanzia (spendere non è facile, occorre sapere come fare); anche ilsussidiario.net ha rilevato come ci sia una falla informativa nella quale rientrano tutti quei giovani che stanno per finire la scuola. Di giovani, scuola e lavoro abbiamo parlato con il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, che intanto annuncia: sulla Garanzia intendiamo chiedere all’Europa un correttivo.



Sottosegretario, scondo lei l’assetto ordinamentale della Garanzia è soddisfacente?
Garanzia Giovani è un’importante risorsa per accompagnare i giovani nel mondo del lavoro, ma per essere efficace deve coinvolgere anche scuole e università. Le risorse investite daranno un’opportunità a chi non trova lavoro o l’ha perso; tuttavia, è fondamentale mettere in conto che bisogna anche agire sulla ragione per la quale i giovani non trovano lavoro.



Ovvero?
Per rimuovere le cause occorre puntare decisamente sulla prevenzione e, quindi, sulla preparazione dei ragazzi non solo teoriche, ma tarate sulle competenze che il mondo del lavoro richiede e che spesso scuola e università non riescono ad assicurare efficacemente. Alternanza scuola-lavoro, tirocini, stage, laboratori hanno bisogno anche di risorse e Garanzia Giovani sarebbe fondamentale.

Non crede che lo stato avrebbe dovuto imporre, per tutti i soggetti attuatori (le regioni) di dare i soldi ai formatori solo a risultati raggiunti?
Le forze impegnate affinché il Piano abbia successo sono molteplici e stanno realizzando le azioni cercando di migliorare i servizi, tenuto conto anche di misure già sperimentate che hanno ottenuto risultati tangibili. Come nel caso della Lombardia con la Dote unica lavoro. Inoltre, il ministero del Lavoro svolgerà il ruolo di autorità di gestione e assicurerà le attività di sistema, il monitoraggio e la valutazione per garantire la corretta utilizzazione dei fondi stanziati rispetto agli obiettivi.



Lei ha ricevuto un appello per l’inserimento in Garanzia, a livello europeo, anche degli studenti delle scuole (16-19 anni). Ci sono margini di intervento?
Per cambiare verso occorre modificare le regole europee di Garanzia Giovani che ci obbligano a utilizzare le risorse disponibili solo per i ragazzi che non lavorano e non studiano. Quello che dico io è che bisogna poter utilizzare Garanzia Giovani anche nelle scuole perché i giovani diventano Neet anche perché talvolta la scuola non è in grado di far fronte con nuove modalità a quanto chiede il mondo del lavoro. Speriamo di approfittare del semestre italiano per chiedere un correttivo. Il ministero del Lavoro qual è la nostra posizione lo sa, e la speranza è che si possa cambiare in parte l’obiettivo.

Il decreto di apprendistato relativo alla formazione in azienda degli studenti dell’ultimo biennio presenta le solite smagliature: il dualismo tra scuola e lavoro, tra curricolo scolastico e percorsi sperimentali, tra figura dello studente e figura dell’apprendista, senza citare le complicazioni burocratiche e i costi di cui sono gravate le aziende. Cosa può dire in merito?

L’introduzione dell’apprendistato nell’ultimo biennio della scuola superiore a mio avviso è una grande conquista, perché consente per la prima volta di studiare ed imparare un lavoro allo stesso tempo. Sono i ragazzi e i professori che chiedono alla scuola di riservare più spazio alle esperienze concrete e di poter imparare “mettendo le mani in pasta” in ambienti operativi reali, senza dover aspettare dopo il diploma per capire, a proprie spese, come funziona il mondo del lavoro, magari scoprendo che la loro preparazione è distante da quella richiesta.

Ma il decreto?
Con il decreto di apprendistato negli ultimi due anni stiamo muovendo i primi passi: è una sperimentazione ed è l’occasione per costruire un modello italiano per acquisire un diploma di scuola secondaria che preveda una settimana al mese per due anni in azienda, e quella settimana al mese ha lo stesso valore dello studio in classe. Intendiamo lavorare inizialmente su numeri contenuti per capire come funziona e a quali condizioni. Seguiremo passo passo, attraverso un attento monitoraggio, lo sviluppo di questi percorsi sperimentali sul territorio per verificarne gli esiti e l’efficacia. Il nostro obiettivo prioritario è di avvicinare i percorsi scolastici alle filiere produttive di riferimento per contrastare la disoccupazione giovanile.

Può anticipare cosa sta facendo il Cantiere #2 di cui lei è alla guida?
Ci tengo a precisare che sono un componente istituzionale del Cantiere #2 insieme a diversi esperti del mondo della scuola e del Made in Italy. Il gruppo di lavoro si sta confrontando sulle competenze necessarie per preparare gli studenti al mondo del lavoro, e farà proposte per superare il disallineamento tra offerta formativa e domanda di nuove competenze che emerge dai grandi cambiamenti di questi anni.

Dal focus Miur sulle iscrizioni per l’anno 2014-15, istruzione tecnica e fomazione professionale risultano ancora in sofferenza rispetto ai licei.
Il Cantiere sta approfondendo anche le azioni finalizzate al loro rafforzamento e al loro rilancio, ma si soffermerà anche sulle competenze trasversali – relazionali, digitali e linguistiche – che sono alla base del rilancio della nostra economia a livello internazionale.

Ma quali sono i criteri che seguite?
Un lavoro fortemente specializzato e professionale implica un saper-fare specifico (competenze specifiche) che va a impiantarsi su quelle competenze di base e trasversali che tutti gli studenti dovrebbero acquisire e rafforzare durante la scuola dell’obbligo. In questo cantiere porto ciò che ho potuto vedere nelle viste in alcune scuole italiane dove studenti e professori si inventano, utilizzando il minimo di autonomia scolastica che hanno, sperimentazioni scuola-lavoro utili per il futuro dei ragazzi. Utili sia perché nei laboratori si imparano mestieri, sia perché con la scoperta che quanto si fa è utile, l’attenzione a tutte le altre materie cambia, si scopre un interesse verso tutto. Dobbiamo mettere a sistema quello che le scuole già in parte fanno.

A giorni alterni siamo bombardati da percentuali sulla disoccupazione giovanile. Lei non crede che a questi dati faccia fronte una situazione meno drammatica di quanto i numeri lascerebbero pensare? 

Che cosa intende? È un modo per dire che la situazione non è grave?

Le chiedevo solo un’opinione sulla consistenza della disoccupazione giovanile reale rispetto alla funzione cuscinetto svolta dalle famiglie italiane. Che è innegabile.
Direi che i numeri sono fin troppo chiari: la disoccupazione giovanile è al 43%, negli ultimi 9 anni si sono persi, tra i 14 e i 34enni, 2,3 milioni di posti di lavoro, abbiamo dati di abbandoni scolastici più alti della media europea ed i Neet sono più di 2 milioni. Questi dati e la realtà della nostra scuola, dei nostri ragazzi ci impongono un cambiamento di rotta. Per questa ragione siamo fortemente coinvolti nell’attuazione del Piano Garanzia Giovani e nel portare a sistema l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato negli ultimi 2 anni della secondaria superiore. Riconosco il ruolo delle famiglie in questa congiuntura così sfavorevole, ma il mio impegno è di cambiare quei numeri lavorando alla radice del problema. Cambiando prima di tutto la scuola.

Perché i nostri giovani, a 18 e/o a 23-24 anni, si affacciano ad un mondo, quello del lavoro, che li spaventa?
Per una mancanza di fiducia rispetto alle loro possibilità. Più che spaventati penso siano pervasi da un senso di disorientamento e frustrazione. A volte, dopo anni di “studio matto e disperatissimo”, si trovano a confrontarsi con richieste di competenze su cui non si sentono formati. Sentono, pertanto, uno scollamento tra quanto hanno appreso a scuola e quanto gli viene chiesto per lavorare. È un mondo che non conoscono e nel quale sono improvvisamente catapultati senza esperienza. Per questo ritengo importante l’alternanza scuola-lavoro come prassi educativa nelle scuole superiori e nelle università.

In questo può essere utile anche la Garanzia?
Potrebbe aiutare, perché per i ragazzi una volta finita la scuola dopo la maturità la prima persona a cui chiedere informazioni sul lavoro non sarebbe il centro per l’impiego, ma il professore che li ha seguiti in alternanza scuola-lavoro. Spesso seguire la realtà è meglio che immaginarla.

Il suo consiglio ai giovani che vogliono trovare lavoro. Aspettare? O accettare tutto?
Fare esperienze diverse è importante: accresce le competenze trasversali e fa acquisire quell’esperienza che può tornare utile nella ricerca del lavoro desiderato o per il quale si è studiato. Io ho capito bene il senso della sua domanda di prima. Non credo che i ragazzi italiani siano “bamboccioni” o “choosy”: ne ho incontrati tanti e il loro desiderio di mettersi in gioco è forte ma l’offerta troppo spesso insufficiente, o le loro competenze non all’altezza. Superare questo secondo aspetto, ripeto, spetta alla scuola.

Andare all’estero, invece?
Anche su questo sempre Garanzia Giovani potrebbe aiutare perché i costi sono alti. Più in generale, comunque, il mio consiglio è di fare esperienze lavorative a prescindere dal periodo scolastico. Serve, fa maturare ed è utile per quando poi si cerca lavoro. Io ho sempre fatto così e posso dire che mi è servito.

Secondo lei la flessibilità è precariato?
Non credo in questa analogia. Se avessi un’impresa e avessi un ragazzo in ditta con un contratto flessibile e poco dopo vedessi che è bravo, che si impegna, che ci mette l’anima lo assumerei a tempo indeterminato appena se ne presentasse l’occasione. Se poi quel ragazzo con un contratto a tempo indeterminato dimostrasse ancora capacità, gli darei responsabilità nuove e un contratto diverso magari da dirigente…Insomma molto dipende dalla scuola e lo sappiamo, ma molto dipende dai ragazzi e lo sanno.

(Federico Ferraù)