Caro direttore,
la questione-storia è chiusa dal punto di vista del contenuto, ma vi è un risvolto che non può non essere evidenziato: andando a regime la riforma Gelmini, nell’ultimo anno del liceo scientifico si perderà un’ora di storia che quindi al posto di tre ore ne avrà due alla settimana. Quindi il Novecento lo si dovrà fare con meno ore ancora di quelle attuali, ovvero impresa impossibile! Questo è il dato di fatto che emerge dalla riforma, una forte penalizzazione dell’insegnamento della storia con i gravi rischi che comporta questa ulteriore riduzione d’orario. 



È altamente possibile che questo taglio di ore di storia porti molti insegnanti a scegliere un approccio alla disciplina di tipo nozionistico. Immagino già la corsa a finire i programmi con un insegnamento della storia in pillole, un processo di mappe concettuali che da strumento quali sono oggi diventano determinanti, al pari di categorie, illudendosi che sapendole si arrivi a conoscere la storia. 



Il rischio maggiore di questo processo è il ritorno di un insegnamento ideologico, di nuovo a ingabbiare la storia in un determinismo soffocante. Sarà la dittatura del programma che – non ancora tolta – imporrà la scansione e lo sviluppo del percorso annuale. Io voglio resistere a questo, voglio combattere contro questo attacco mortale l’estrema battaglia di difesa della storia, di garanzia della sua validità educativa. 

E come combatterò questa battaglia, che mi vede in grave situazione di svantaggio? 

Lo farò mantenendo l’impronta che ho dato in questi anni all’insegnamento della storia: non mi interessa che i miei studenti sappiano tutto, mi interessa che conoscano, che sappiano entrare nel fatto storico non come fotografi ultimamente estranei a ciò che pure fissano, ma come persone, che sentono il contraccolpo di ciò a cui partecipano. 



Questo è ciò che mi importa, che raccontando un momento della storia emerga l’umano, quel paragone che ognuno di noi fa di fronte ad ogni evento. Qui dimostra la sua importanza, la sua validità l’insegnamento della storia, quando desta la tensione a giudicare, a riconoscere in quello che accade qualcosa che interessa. Per questo non è necessario fare tutto, anzi spesso voler fare tutto il programma svilisce la storia. Ciò che è necessario è mantenere viva la sua originalità. 

Sia quindi chiaro che di fronte ad una riforma che non è solo di orario, ma che svilisce la storia, obbligando gli insegnanti a restaurare un approccio ideologico, io con i rischi che questo comporta manterrò un insegnamento critico della storia, continuerò a raccontarla, prendendomi lo spazio che occorre sfidando ogni mio studente a paragonarsi con la sua umanità. 

E considero realizzata una programmazione di storia, non se avrò fatto tutto il Novecento, non se sarò arrivato a Tangentopoli e alle Torri Gemelle, ma se avrò messo dentro a qualche studente il desiderio di andare a conoscere nuovi passaggi della storia. 

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