Caro direttore,
Prima di parlare di questi giorni di prove preselettive della seconda edizione del Tfa, proviamo a guardare cosa è successo in questi ultimi due mesi.
La notizia che le selezioni sarebbero state a luglio è arrivata a metà maggio. Il calendario delle prove è stato pubblicato a inizio giugno. Io, fortunatamente, non avevo impegni previsti: intorno a me, però, ho visto rimandare viaggi di nozze, buttare biglietti aerei, improvvisare notti di studio per chi ancora lavorava, anticipare lauree concludendo le tesi in fretta e furia. Il brevissimo preavviso dice di una disattenzione alla persone (cosiddetti “aspiranti insegnanti”) che traspare in continuazione in questo difficile e imprevedibile percorso.
Perché imprevedibile? Abbiamo fatto un esame, studiato, cambiato programmi, ma non sappiamo nemmeno per cosa. O meglio, sappiamo che serve ad abilitarci: tuttavia, nessuno si è ancora pronunciato su quale sarà effettivamente la forma di tale percorso; al massimo, possiamo immaginare una replica del Tfa di due anni fa, ma senza fondamenti. Problema non indifferente, considerando che, tra le migliaia di giovani partecipanti ai test di luglio, la maggior parte lavorano (molti nemmeno come insegnanti, e a tempo pieno: architetti, ingegneri, ma anche impiegati nell’editoria, nella consulenza…); molti hanno già una famiglia e figli piccoli. Chiaramente, nessuno ha pensato, per esempio, di condensare le tre prove selettive in modo che prima di settembre, sapendo l’esito, ciascuno potesse organizzarsi: chiedere un part-time per frequentare le (supposte) lezioni a frequenza obbligatoria o fare i conti in famiglia per il non indifferente costo dell’abilitazione.
Ora abbiamo tutti finito le prove preselettive: fortunatamente, le risposte corrette di ogni prova sono state pubblicate dal ministero il giorno successivo allo svolgimento del test, in modo che ciascuno ha potuto controllare – memoria permettendo – il suo esito. Con una certezza in più, ci chiediamo: e adesso?
Una giovane mamma, che svolgeva il test di fianco a me, visibilmente in dolce attesa, ha studiato molto per il test, pagato l’iscrizione apposita ma, non sapendo né le date dei successivi esami, né in cosa consista il percorso abilitante, non sa nemmeno se potrà svolgerlo; idem alcuni lavoratori che, vista la probabile frequenza obbligatori dei corsi, si troveranno a dover scegliere: o lavorare, o abilitarsi.
Sappiamo che entro il 31 ottobre ci sarà una prova scritta, per cui ci piacerebbe iniziare a studiare prima dell’inizio della scuola o del lavoro, ma nessuno di noi sa in cosa essa consista. Ciascuna università, infatti, farà sapere le modalità di prova che intende adottare. Ma… quali università? Non ci è dato saperlo. Le prove appena svolte riguardano tutta la Lombardia: potrebbe essere che un bresciano, che lavora nella sua città, le superi. Per poi scoprire che il Tfa per la sua classe di insegnamento è stato attivato solo a Milano, o Pavia: sapendolo per tempo, forse, avrebbe potuto organizzarsi.
Una indicazione del ministero, a cui non credereste se non fosse scritta, è più esemplificativa di ogni altra. Dopo la prova preselettiva, lo scritto e l’orale, sarà stilata una graduatoria per ogni università. Nel caso un candidato risulti idoneo, ma in eccesso rispetto ai posti dell’università per cui ha fatto domanda, non si preoccupi: potrà svolgere l’abilitazione, comprensiva di tirocinio e lezioni trisettimanali a frequenza obbligatoria (o così si prova a dedurre dalla passata edizione), in un ateneo con eventuali posti vacanti; a condizione, però, che si trovi in un’altra regione. Avete capito bene.