Provando e riprovando… parole chiave per definire il metodo scientifico introdotto soprattuto da Galileo: un metodo che ha permesso, in ogni campo dell’impresa scientifica, di raggiungere eccezionali traguardi: l’uomo ha conquistato la Luna, rendendo realtà il sogno di tanti poeti e scrittori, il genoma umano è stato decodificato, aprendo la strada alla cura di tante malattie, i meccanismi alla base del cervello sono stati a fondo indagati… per non parlare degli enormi progressi delle varie tecnologie, in particolare dei computer, sempre più potenti e sofisticati.
Per questo mi hanno lasciato molto sorpeso le recenti dichiarazioni della neuroscienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo sul “metodo scientifico” (giovedì scorso, in occasione di un incontro per presentare il neonato Centro di Neuroscienze voluto dall’Università di Milano Bicocca, ndr).
Da oltre mezzo secolo, come fisico, mi “occupo” di scienza, sia praticandola in università e centri di ricerca italiani, tedeschi e americani, sia insegnandola a un grande numero di studenti e, sempre più spesso negli ultimi anni del mio insegnamento, a figli e anche a nipoti dei miei primi allievi. Per tutto ciò è stato per me essenziale il metodo scientifico, nella ricerca come nell’insegnamento.
“Il metodo scientifico” – ha detto la senatrice ai giornalisti – “è l’abc della nostra vita, e dovrebbe far parte di noi in quanto esseri umani, e non solo come scienziati. Il metodo scientifico non si usa solo in laboratorio: ad esempio lo usano gli storici, o il giornalismo, mentre la magistratura sarebbe importante che lo usasse ancora di più. Ma è importante soprattutto per i cittadini, che possono e devono interrogarsi sulle cose, e andare a cercare le prove per approfondire gli argomenti, in modo da non essere ostaggio dei condizionamenti”. Mi è venuto spontaneo chiedermi se il metodo scientifico di cui parla la Cattaneo è lo stesso che conosco io. Forse sì, ma solo in parte. Ma non è tutto. Proprio a motivo dell’opinone citata, il metodo scentifico – secondo la neuroscienziata – andrebbe insegnato a scuola fin dalla più tenera età.
Mi sorge allora una domanda: qualcuno mi ha forse insegnato come utilizzare il metodo scientifico o è stato qualcosa che è venuto naturalmente, lavorando con serietà a una ricerca? E ancora, durante i miei tanti anni di insegnamento della fisica in università, ho parlato a lungo di Galileo e dell’importanza del metodo scientifico, ma non mi sembra di aver mai suggerito una “formula” per applicarlo. Eppure tanti dei miei studenti sono diventati leader nei maggiori laboratori di ricerca internazionali. Sarebbe allora utile insegnare tale metodo ai nostri ragazzi partendo già dalle scuole primarie? Ma mi chiedo, cosa vorrebbe dire “insegnarlo”? Che senso ha?
Oltre all’abc, alle tabelline, a saper formulare e scrivere un pensiero credo sia anche importante che i bambini siano stimolati già dalle scuole elementari a esercitare la propria inventiva e la propria fantasia facendo dei piccoli esperimenti, trovando più metodi per costruirli, cercando o inventando diverse strade per giungere a “scoprire” qualcosa… ma questo non ha nulla a che fare con “l’insegnare il metodo scientifico”, con l’ingabbiare i giovani in una realtà che non ha alternative. È importante a mio parere che non si imponga loro che per andare da A a D sia obbligatorio seguire rigidamente una traiettoria che passi per B e per C, ma che tante possono essere le strade possibili.
Secondo Elena Cattaneo, poi, l’isegnamento precoce del metodo scientifico “aiuterebbe ad essere cittadini migliori, e a non essere condizionati nei propri giudizi”. Anche in questo caso ho i miei dubbi. Siamo sicuri che applicare il metodo scientifico in ogni campo sarebbe la strada giusta per avere adulti migliori? Li aiuterebbe ciò ad apprezzare e rispettare di più la natura, ad ammirarne la bellezza, a essere presi dal fascino di un tramonto, o dall’armonia di una poesia o dalla grandiosità di una sinfonia di Beethoven, o, perché no, a diventare più altruisti, a capire meglio che la realtà dell’universo attorno a noi non è solo quella che ci appare?
Già oggi i nostri ragazzi, purtroppo affascinati dalle playstation e dai vari giochi elettronici, sempre più “mostruosi”, stanno perdendo il grande dono della fantasia: una omologazione che sta preparando una generazione di ragazzi tutti uguali, di tanti piccoli automi, tutti con gli stessi desideri e le stesse capacità. Insegnar loro che in ogni campo bisogna applicare il metodo scientifico, cioè il freddo ragionamento, che ogni problema va affrontato rigidamente in un certo modo, a mio parere non farebbe che far precipitare questa situazione. Il metodo scientifico è senza alcun dubbio essenziale per la ricerca, e non solo nel campo della fisica, ma è qualcosa che non si apprende da un manuale, ma che si impara a poco a poco, che viene da sé, se si lavora con serietà, con umiltà e con entusiasmo. E − perché no − anche con fantasia.