Era l’ottobre di due anni fa – due governi fa, con ministro Profumo… – quando il disegno di legge della Finanziaria per il 2013 annunciava: “a decorrere dal 1° settembre l’orario di impegno per l’insegnamento del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado è di 24 ore settimanali”. Scopo dichiarato dell’operazione: conseguire nel comparto scuola un risparmio stabile di 714,2 milioni di euro a partire del 2014, utilizzando le 6 ore aggiuntive “per la copertura di spezzoni orario disponibili nell’istituzione scolastica di titolarità, nonché per l’attribuzione di supplenze temporanee… per posti di sostegno… per gli impegni didattici in termini di flessibilità, ore aggiuntive di insegnamento, di recupero e di potenziamento”. Nessun aumento della retribuzione previsto, ma nemmeno alcuna riduzione dell’organico di diritto; salvo l’inevitabile taglio all’organico di fatto: ovvero, operazione a totale carico dei supplenti (si veda il nostro editoriale Lo schiaffo alla dignità, ottobre 2012). Sappiamo tutti come poi la vicenda è andata a finire.



Nonostante la netta opposizione al progetto operata allora da quella parte politica che ora è al governo, oggi le ore in più sembrano diventare 18. Un netto raddoppio dell’orario per la secondaria, che però coinvolge anche gli altri livelli di scuola, fino a quella dell’infanzia. L’intervista rilasciata la settimana scorsa a Repubblica dal sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi e, più ancora, l’articolo dell’intervistatore ci hanno riportato indietro di due anni, seppure con alcune differenze sostanziali che, per certi versi, sono ancora più preoccupanti delle coincidenze. 



Innanzitutto la modalità. A dire delle 36 ore non è stato l’intervistato, che si è l’imitato a parlare genericamente della necessità di contenere le spese per la scuola (e non è una novità…) ma anche di “incentivi” per portare le retribuzioni degli insegnanti “a stipendi europei”; del taglio di un anno delle scuole superiori oltre che di formazione obbligatoria per i docenti in servizio e di “scuole aperte 11 mesi su 12”, perché “le scuole devono diventare il centro civico delle città, a giugno e luglio i genitori non sanno dove mandare i loro figli” (sic! Ma non era anche questo il contestato Profumo-pensiero?). 



Ne ha parlato invece il giornalista, che si è prestato a lanciare il ballon d’essai della “rivoluzione” contrattuale per i docenti italiani. Reggi non è ingenuo: potrà così sempre dire che si è trattato di conclusioni arbitrarie tirate dal giornalista al termine di una chiacchierata sui lavori in corso del “nuovo cantiere” a viale Trastevere, come ha già indirettamente cominciato a fare annunciando ampie consultazioni su un progetto appena abbozzato e, più recentemente, con le dichiarazioni rilasciate durante il convegno del Pd sulla scuola a Terrasini, in Sicilia: “mai mi son sognato di dire di aumentare il tempo dell’insegnamento…”.

Ci vogliamo prestare anche noi al gioco, convinti che prima ancora degli approcci ragionieristici sia importante la chiarezza delle intenzioni e dello scopo.

Dunque 36 ore settimanali “per tutti i docenti” e “aumenti di stipendio a chi si prende responsabilità, offre competenze specifiche”; non il rozzo aumento di un terzo delle ore a stipendio invariato proposto da Profumo, ma “premi stipendiali fino al 30 per cento per i docenti impegnati in ruoli organizzativi (vicepresidi, docenti senior) o attività specializzate (lingue e informatica)”; e a condizione che, “con l’allargamento della disponibilità a 36 ore le supplenze saranno richieste ai docenti già in cattedra nell’istituto senza riconoscimenti economici extra”

Ci si spieghi ora dove sta la differenza di fondo tra l’aumento di un terzo delle ore (da 18 a 24) senza aumento di stipendio e un raddoppio d’orario (da 18 a 36) con aumento massimo di stipendio del 30 per cento. Non è chiaramente un peggioramento rispetto alla proposta Profumo? Tanto più che già ora vicepresidi e docenti impegnati in attività aggiuntive vengono retribuiti oltre lo stipendio base uguale per tutti. Il calcolo della “convenienza/fregatura” nascosta in un’operazione come questa sanno farla tutti; come del resto capiscono tutti che promettere l’invarianza degli scatti di anzianità è un debole assist contro la protesta sindacale e che di “merito” non se ne parlerà più – soprattutto perché la proposta prevede debbano essere i dirigenti scolastici “a decidere a chi dare i bonus stipendiali”. E non meno preoccupanti sono le invitabili conseguenze sociali che deriveranno dal fatto che “spariranno subito le graduatorie d’istituto, cariche di 467mila precari”. Ma è davvero questa la scommessa di Renzi sulla scuola? Creare “un clima diverso” nella scuola vuol dire continuare a proporre la solita immagine impiegatizia dell’insegnante, solo con qualche ora in più? Magari aumentando il tempo scuola e lasciando prefigurare un modello di scuola come centro sociale (scuole aperte con “orario 7-22, fino alla fine di luglio”)? Ci sbagliamo?

Noi crediamo che oggi in Italia siano davvero maturi i tempi per avviare un dibattito per un vero “patto di qualità” della scuola, ma è decisivo che il dibattito sia vero e le proposte siano autentiche e nuove!

L’abbiamo scritto due anni fa (comunicato stampa del 16 ottobre 2014) e lo ripetiamo adesso: l’insegnante per noi non è una “figurina senza identità” da relegare in un ruolo impiegatizio scialbo e ripetitivo, la cui funzione possa essere trattata esclusivamente in termini di ore in più da fare senza riconoscimento di una carriera e la sua figura professionale svenduta ad una presunta e pretesa “necessità sociale”.  

Come già ricordato su queste pagine, gli insegnanti italiani 36 ore settimanali le fanno già. Riflettiamo davvero su tutti gli aspetti evidenziati dal Rapporto Ocse-Talis 2013, laddove afferma (qui il link) che il tempo dedicato al lavoro da un insegnante italiano è mediamente di 29,4 ore settimanali (di 60 minuti!), aggiornamento escluso. Ma la questione seria è che quel lavoro venga effettivamente riconosciuto, valorizzato e valutato. 

Qui si deve aprire davvero il dibattito: riconoscere e valutare, in che modo? Da parte di chi? E con quali criteri: solo il tempo scuola, o anche la qualità dell’insegnamento? E poi: come creare davvero una carriera docente non legata ai soli scatti di anzianità? Quali sono i profili che possono essere riconosciuti anche normativamente e contrattualmente?

Prima di tutto però occorre chiarirsi le idee su quali sono scopo e ragioni della scuola, rimettendo l’educazione dei giovani al centro del sistema. Siamo convinti che la scuola debba essere innanzi tutto scuola, luogo cioè di trasmissione del sapere e della cultura attraverso l’incontro tra persone. L’insegnante non è un semplice incaricato a riversare conoscenze e metodologie, ma un soggetto che vive il proprio compito con responsabilità e professionalità e che, attraverso i particolari della disciplina insegnata, testimonia la propria coscienza del reale ai giovani con i quali è chiamato ad affrontare un cammino comune.

Se vogliamo parlare seriamente di rilancio del Paese, dunque, non possiamo farlo che ripartendo dall’educazione e dalla libertà di educare. Ma se vogliamo veramente educare le giovani generazioni dobbiamo affrontare la questione dell’insegnante abbandonando la vecchia immagine impiegatizia della docenza per incontrare seriamente la realtà della professione docente.

Noi siamo pronti a parlarne; da tempo. Attendiamo che ci siano persone disposte a farlo e luoghi reali di confronto.

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