Caro direttore,
oggi non credevo ai miei occhi quando sfogliando il quotidiano La Stampa mi sono imbattuto nell’articolo di Alessandro D’Avenia in cui rivelava che una delle ragioni per cui ha iniziato ad insegnare è stato il professor Keating. Un pessimo modo di ricordare Robin Williams che comunque rimane un grande – è stata la mia prima reazione, ma poi ho voluto capire, ho cercato tra le righe del suo lungo articolo le motivazioni della sua scelta. Ed hanno cominciato a sorgere domande su domande, perché ho scoperto che per D’Avenia il prof. Keating è stato un modello, ma nello stesso tempo il rappresentante di una pedagogia talvolta zoppicante perché “narcisistica, emotivista, simbiotica con gli studenti”. 



A questo punto mi sono chiesto come può essere un modello un insegnante che è solo sentimentale e pieno di sé. Forse perché portava gli studenti ad essere contro il mondo degli adulti? Questo era il fascino che esercitava il prof. Keating? Può essere, ma questo può bastare per entrare in una classe e per costruire dei rapporti educativi? Mi sono addentrato in queste domande, sempre più esterrefatto dal dualismo di un modello senza proposta se non quella di contrapporsi, e alla fine ho rinunciato. Nella confessione di D’Avenia non ho trovato risposte, ma soprattutto ho avvertito un senso di mancanza grave. 



Sì, il prof. Keating un fascino lo esercita, è il fascino dell’andare-contro, ma questo non basta per iniziare ad insegnare come non basta per entrare ogni giorno in classe. Per questo ho abbandonato l’articolo e ho voluto guardare alla mia esperienza. Non è il mio modello il prof. Keating, anche se a me piace andare contro la mentalità dominante, contro le regole che omologano tutti ad un modo comune di pensare. Io stesso vengo da un mondo in cui siamo cresciuti andando contro, è il mondo del ’68, e avevamo tutte le ragioni per farlo, prima ancora del prof. Keating, ma non è stato quell’impeto di reazione al potere a portarmi a diventare insegnante, non è stato l’impulso a ribellarmi alle ingiustizie a spingermi ad entrare come professore in una scuola. Andare contro non è bastato all’inizio come non basta oggi, per essere insegnante; per educare non è sufficiente rifiutare l’omologazione! Ciò che mi ha portato ad insegnare è stato invece incontrare un uomo per il quale educare coincideva e coincide con la ricerca della felicità, è per questo che oggi entro in classe, perché la vita ha senso e questo senso di cui faccio esperienza può essere comunicato, può sfidare la libertà. 



È per questo che sono rimasto esterrefatto di fronte alla confessione di D’Avenia, io, povero professore di provincia di fronte a lui, che è un insegnante famoso. Mi sono trovato a portare una differenza per me comunque importante, la differenza tra l’insegnamento come un essere-contro, di cui è emblema il prof. Keating, e l’insegnamento come l’essere per, non per qualcosa che noi immettiamo nei nostri studenti, ma per quello che loro sono chiamati a vivere, così da trovare ciò che cercano, la risposta alla domanda di felicità. 

Questo è ciò che ogni giorno in classe tento, cercare di mettere a tema − insegnando − ciò che mi accomuna ad ognuno dei miei studenti: lo struggimento per quella promessa di felicità che vibra in ognuno dei nostri cuori.