Dibattiti fieri, o accorati, o indignati, o rassegnati. E tutti senza sbocco. Perché? Perché tutti hanno ragione, hanno qualche ragione, hanno almeno una ragione.
Estate libera o progettata dallo stato? Ecco i pro e i contro. Scuole cattoliche allineate al mondo laico o quale spazio autonomo? Ecco i pro e i contro. Maggior peso ai docenti o ai genitori? Ecco i pro e i contro… Programmi ministeriali o autonomia scolastica? Idem. Lavoro a classe intera e apprendimenti personalizzati? Uniformità o libertà? Sostegno al merito o agli ultimi? E si potrebbe continuare.
Ogni tesi ha denigratori ed estimatori ed ognuno cerca di ottenere che la sua tesi operi sul sistema formativo generalizzandosi nella sua interezza e monoliticità. Da qui la “paralisi agitata”, l’impossibilità di una gestione stabile ed allo stesso tempo aderente alle necessità varianti. Da qui l’impossibilità di un lavoro con consensi ampi, che diano tranquillità ed autorevolezza agli organizzatori delle scuole.
La sintesi monolitica ed allo stesso tempo ampia delle richieste ragionevoli richiederebbe infinità di ore del curricolo, infinità di anni di scuola, infinità di docenti, infinità di denaro dello stato.
Ma la quantità ed il tempo, la quantitànel tempo, sono gli indicatori fondamentali della vita e, come ha detto il capo del governo in una delle sue battute radicali “la differenza tra un sogno ed un progetto è il tempo”.
Nella scuola una soluzione dinamica e realistica alle mille pulsioni e ragioni educative c’è, è davanti a tutti noi che però siamo paralizzati dalla visione del curricolo obbligatorio uguale per tutti.
È così difficile pensare ad un curricolo obbligatorio essenziale nazionale intorno alle 15 ore settimanali + uno obbligatorio di istituto intorno alle 3 ore settimanali + uno obbligatorio individuale di 2 ore settimanali e poi uno opzionale libero senza limiti? Ricordo che l’insegnamento della religione cattolica prevede due ore settimanali alle elementari ed un’ora nei livelli successivi, questo tanto per chiarire il peso della quantità.
Con questo schema, suscettibile di aggiustamenti, si potrebbero coniugare facilmente stabilità e dinamismo, centralismo e localismo, collettività ed individuo o famiglia, spesa statale e spesa aggiuntiva locale o individuale.
L’edificio scolastico aperto tutto l’anno in tutti i giorni non festivi sarebbe il contenitore delle iniziative ai vari livelli di progettazione e di adesione.
Il curricolo essenziale darebbe stabilità nazionale al sistema lasciando margini alla progettazione di istituto ed alle richieste individuali.
Da dove viene la resistenza alle differenze territoriali ed individuali? Probabilmente dal timore della disgregazione della comunità. E questo timore sarebbe giustificato di fronte a richieste radicali di autonomia dei singoli istituti o a spazi eccesivi dati alle opzioni individuali. Ancora una volta è nelle quantità, nei pesi relativi, nel tempo vivo, che si devono calare i concetti astratti, le filosofie.
Questo è il salto che la nostra cultura scolastica deve compiere a tutti i livelli, dal ministero al singolo istituto, al singolo docente ed al singolo studente o genitore.
L’opzionale di istituto ed individuale non sono e non dovrebbero essere visti come una semplice concessione dello stato a bisogni “minori”. Esso consentirebbe anche a vertici nazionali, seri e democratici e decisionisti quanto serve, di osservare le tendenze spontane di base ed alla “base” di sperimentare interessi anche particolari. L’interazione complessiva a tutti i livelli sarebbe semplificata e resa più trasparente. Ciò favorirebbe anche un riformismo graduale ed una costante e condivisa ristrutturazione del sistema basata sulla consapevolezza ed il consenso.