La transumanza dei docenti dal Sud al Centro Nord non è una novità. Scatta, puntuale come un orologio, ad ogni aggiornamento triennale. Accadde già in occasione dell’aggiornamento 2011 che le graduatorie ad esaurimento, ad esempio del Lazio, fossero sconvolte, e gli “aspiranti” locali scivolassero indietro, in alcuni casi, di centinaia di posizioni. Oggi la stessa procedura si ripete, magari “affinata” grazie a siti specializzati e sistemi di calcolo che hanno “facilitato” la scelta della provincia di trasferimento a colpo sicuro o quasi, grazie a punteggi altissimi dovuti prevalentemente all’anzianità di servizio accumulata. Prevedibilissima la polemica sul “prendi il ruolo e scappa”. Prevedibilissima, quanto sterile. Perché, piaccia o meno, l’aggiornamento delle Gae è fondato su due principi, resi inattaccabili dalla Corte costituzionale in una celebre sentenza, la 41/2011. 



Occorre fare un poco di storia, per far sì che non si ripetano gli errori del passato.

Come noto, il comma 605 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006, auspice il ministro Fioroni, decretò la trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento (“Con effetto dalla data di entrata in vigore della presente legge le graduatorie permanenti … sono trasformate in graduatorie ad esaurimento. Sono fatti salvi gli inserimenti nelle stesse graduatorie da effettuare per il biennio 2007-2008…”). 



Il decreto direttoriale 16 marzo 2007, in esecuzione, a suo dire, della norma, aveva stabilito che, a far data dall’anno scolastico 2009/2010, sarebbe stato consentito agli aspiranti l’aggiornamento della propria posizione nella graduatoria provinciale precedentemente scelta ovvero la possibilità di trasferirsi in altra provincia, ma “in coda”. Da dove si desumesse un simile principio, è misterioso. E immediatamente la sezione IIIbis del Tar Lazio tirò fuori la bacchetta e, con sentenza 10809 del 2008, spiegò che “E’ coerente allora affermare, quanto al thema decidendum, che la riconfigurazione delle graduatorie provinciali, da permanenti a esaurimento, non implica ex se – in assenza di un’esplicita scelta di campo del legislatore tesa a conformare la valenza giuridica di dette graduatorie a esaurimento – l’immobilità e/o la cristallizzazione di queste ultime nel senso inteso dall’amministrazione scolastica”. 



Caso chiuso? Macché. Il successivo decreto del ministro 8 aprile 2009, n. 42 dispose, su suggerimento di alcuni sindacati e con l’intento di accelerare l’esaurimento delle graduatorie, in occasione dell’aggiornamento “2009/2011”, il diritto degli aspiranti a permanere nella graduatoria ad esaurimento “d’origine” e, in più, l’opportunità di essere collocati in coda nelle graduatorie di altre tre province. 

Dell’ottemperanza della sentenza del Tar, neppure l’ombra (ammesso e non concesso che il ministro sapesse della sua emanazione). Nuovo contenzioso, nuove sconfitte del Miur, “soluzione” normativa: aveva detto il Tar che mancava la “scelta di campo del legislatore”? Bene. La si fece. Solo che, anziché adottare un testo pulito, si patteggiò in Parlamento una norma di “interpretazione autentica” che, “disvuolendo ciò che voleva”, stabiliva da un lato, in occasione dell’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il biennio scolastico 2009-2011, la conferma delle “code”; dall’altro, che per il biennio successivo tale mutamento avrebbe comportato, al contrario, l’inserimento “a pettine”.

A mettere la parola “fine” giunse la citata sentenza 41/2011 della Corte che, oltre a sbeffeggiare la “duplice interpretazione autentica”, sancì, fermo restando il diritto del Parlamento a chiudere o aprire (in ambo i casi, erga omnes) le graduatorie, il dovere di riconoscere il diritto al caricamento dei punteggi e alla mobilità territoriale. Il “sistema Gae”, in sostanza, può anche essere chiuso all’esterno, ma all’interno è, e non può che essere, aperto e contendibile: “La disposizione impugnata deroga a tali principi e, utilizzando il mero dato formale della maggiore anzianità di iscrizione nella singola graduatoria provinciale per attribuire al suo interno la relativa posizione, introduce una disciplina irragionevole che − limitata all’aggiornamento delle graduatorie per il biennio 2009-2011 – comporta il totale sacrificio del principio del merito posto a fondamento della procedura di reclutamento dei docenti e con la correlata esigenza di assicurare, per quanto più possibile, la migliore formazione scolastica”. Pace e amen. 

La sentenza della Corte, ovviamente, non preclude al Parlamento o all’amministrazione la possibilità di alcuni interventi, ma entro i paletti prefissati. Posso, per legge, trasformare le graduatorie oggi provinciali in graduatorie regionali: ma non posso porre vincoli alla mobilità; posso calibrare in maniera diversa i punteggi, ma non posso in alcun modo assegnare una “premialità” alla permanenza su un territorio, o addirittura introdurre criteri punitivi ai trasferimenti.

Lo tsunami abbattutosi sulle Gae del centro nord non solo era prevedibile, ma era inevitabile e, piaccia o meno, conforme ai principi generali della Costituzione.

Detto questo, non penso neppure che il dovere di permanenza territoriale, spostato dalla Gelmini a 5 anni e ritornato a 3 sotto la Carrozza, abbia influito più di tanto. Neppure la quinquennalizzazione mi aveva all’epoca entusiasmato, visto che (mi) era sfuggito il “bersaglio grosso”, ovvero la permanenza quinquennale nell’istituzione scolastica sede dell’anno di prova. Casomai, ci sarebbe molto da dire sui meccanismi dei passaggi e delle mobilità, ma non è il momento. 

Voglio però sottolineare, tecnicamente e solo tecnicamente, un dato che è sfuggito ai più. Se si guarda al punteggio di abilitazione e alle relative date di (primo) ingresso (che richiedono, per colpa del sistema, un certosino lavoro di “collazione”), si scoprirà che saldamente insediati nelle prime posizioni (a colpi di decine o centinaia, a seconda delle classi) ci sono aspiranti giunti dalle graduatorie del concorso 1999 e dal contemporaneo “riservato”; aspiranti inseriti nel biennio 2005/2007 a seguito dei percorsi per “trecentosessantisti”, tutti con sontuosi titoli di servizio. Pochissimi, e piuttosto in fondo salvo rare eccezioni, gli aspiranti trasferiti che possano vantare la laurea in Scienze della formazione primaria, l’abilitazione Ssis o bienni accademici Afam. 

Il che la dice lunga sulla conformazione delle Gae oggi, delle graduatorie permanenti ieri e sulla netta prevalenza della valorizzazione del servizio rispetto ad ogni altra fonte di punteggio (ivi comprese quelle previste dalla legge, vanificate dalla burocrazia, restaurate dalla magistratura: vedi alla voce ” bonus 6 punti”). Situazione che può apparire “ingiusta”, ma che è immodificabile e forse dovrebbe servire da lezione per il futuro, visto che quella conformazione è frutto di scelte politiche assolutamente trasversali. Né vale la pena soffermarsi sui “sospetti” che i punteggi dei trasferiti portano con sé. Le accuse generiche possono “lavare la coscienza”, ma non incidono sull’equità e sul rigore del sistema, oltre a risultare insultanti per chi, magari, quei punteggi li ha onestamente raggranellati. 

La spiegazione in parte ricordata dal ministro Giannini, con una chiarezza che le fa onore, è tanto semplice quanto, in parte “scomoda”. Primo, dopo lustri di “vacche” relativamente grasse sugli organici di alcune regioni, la situazione è stata, da alcuni anni, improntata al riequilibrio, sulla base di parametri di copertura oggettivi, il che ha portato un rallentamento nelle immissioni al sud e a un maggiore punteggio degli aspiranti. Secondo, le graduatorie di merito del concorso 1999, in altre regioni erano sterminate. Solo per fare un esempio, la graduatoria per la scuola elementare della Campania contava 20mila “idonei”. E siccome l’idoneità nella Gm dava il diritto di accesso alle permanenti, ecco che le Gp oggi Gae si sono stipate di decine di migliaia di aspiranti. 

Sarebbe ingiusto, ovviamente, desumere a priori una valutazione, positiva o negativa, del personale “immesso in pectore” a seconda del titolo di accesso o della provenienza territoriale. Guai ad essere vittima dei pregiudizi, perché quel che conta sono, sempre e comunque, le persone e la loro qualità. Resta che le istituzioni scolastiche hanno, attraverso la valutazione dell’anno di prova, lo strumento per distinguere il grano dal loglio, a Cuneo come a Lampedusa. 

Queste non brevi considerazioni servono a sottolineare che, se non si hanno chiari gli elementi della questione e le opzioni che sulla base di quegli elementi sono possibili, i margini di possibile miglioramento si azzerano, posto che l’unica via per “rottamare” davvero le Gae richiederebbe un coraggio folle da parte di proponente e Parlamento: azzerare le Gae e creare, sui concorsi, una riserva del 50% per chi ne abbia fatto parte. Con possibilità di realizzazione tangenti allo zero, dunque meglio neppure parlarne.

Ciò che invece potrebbe essere possibile, è un’opera di corretta manutenzione sotto tre aspetti. 

Il primo, richiede un investimento di sistema destinato ad abbattere in futuro costi, contenziosi, tempistiche: la creazione, per ogni docente, di un fascicolo telematico direttamente collegato e collegabile con le “banche dati” interessate, che farebbe piazza pulita di interpretazioni, interpolazioni, errori e taglierebbe drasticamente i tempi e i margini di incertezza, consentendo al personale di dirottarsi sui controlli. 

Parlo di un fascicolo telematico vero, e non della paccottiglia spacciata per tale, e cioè di un qualcosa di dinamico, utile per tutte le fasi della carriera, con delle semplici fincature che consentano, ad esempio, la presentazione dei titoli o la scelta delle scuole o delle province senza la compilazione di umilianti modulistiche. 

Il secondo intervento è invece finalizzato a un più celere svuotamento delle graduatorie stesse e sarebbe da adottare non prima del nuovo aggiornamento: nuove classi di concorso più ampie (e la fine del “mercato delle atipicità”…) e una regionalizzazione delle graduatorie oggi provinciali (con un eventuale “recupero” nazionale, su base volontaria, in caso di mancata copertura del posto) potrebbero accelerare il processo. 

Il terzo aspetto, davvero dirimente, riguarda (paradossalmente) la regolarità nelle procedure di bando concorsuali, triennali oggi, biennali una volta che sarà emanato il regolamento previsto dalla delega Fioroni. Da un lato, bandire regolarmente concorsi offre una opportunità a tutti gli abilitati “post chiusura Gae”; dall’altro, offre a tutti coloro i quali si sono visti sfumare il ruolo, il destro di dimostrare il proprio merito e di essere immessi senza dover attendere non solo lo scorrimento della propria graduatoria, ma nuove transumanze che, immancabilmente, si verificheranno al prossimo aggiornamento, come si può facilmente prevedere da un banale raffronto dei punteggi. Proprio grazie al concorso, la mia amica L.V., in prossimità del ruolo nel 2009 e poi scivolata prima oltre la posizione 700 e poi oltre la posizione 900, rimettendosi in gioco, quest’anno conquisterà, nel Lazio, la sospirata e strameritata stabilità, e con lei centinaia di altri.

Sullo sfondo, resta la necessità di garantire la copertura “automatica” di ciascun posto vacante e disponibile con personale di ruolo, vera battaglia di civiltà giuridica e culturale.