Il Questionario studenti che viene compilato al momento della rilevazione permette di incrociare il livello dei risultati con diverse variabili che riguardano lo studente e il contesto in cui si trova. Le variabili che fin qui sono state oggetto di attenzione nel Rapporto nazionale sono essenzialmente il genere, la  nazionalità e la regolarità negli studi. Questo perché da tempo è dimostrato nelle indagini internazionali che si tratta di fattori che dimostrano forti correlazioni con gli apprendimenti. Ma ci sono altri elementi che potrebbero essere analizzati grazie ai dati raccolti dal questionario.



Interessante quanto avviene per Pisa. Dopo il mega Rapporto, che non si presta certo a letture di massa, da circa due anni vengono mensilmente pubblicati approfondimenti su singoli aspetti e problemi. Approfondimenti molto sintetici, che sostanzialmente riprendono quanto contenuto nel Rapporto, ma che servono soprattutto a divulgarne più ampiamente i contenuti.



Ma veniamo a ciò che ci offre oggi il Rapporto Snv. 

Attualmente l’anticipo cioè l’inizio della frequenza scolastica a 5 anni prima della deadline comune non è in Italia una questione di riconoscimento di capacità maturate dal bambino. Si tratta piuttosto di una ricerca di privilegio sociale o della sua conferma. Infatti è utilizzato soprattutto al Sud ed in particolare in Campania da parte di settori di piccola e media borghesia come mezzo per differenziarsi dalla massa comune. Si prescinde qui per il momento dal tema dell’opportunità o meno di tale anticipo rispetto alle necessità sociali del paese e/o della adeguatezza pedagogica di una tale misura, così come si fa in sede di Rapporto. Sta di fatto che gli anticipatari non dimostrano, in sede di prove, significative differenze rispetto agli allievi regolari, tranne che all’inizio della primaria, dove forse scontano una minore maturità nel progresso scolastico.



Il Rapporto peraltro sottolinea il fatto che il basso numero degli anticipatari non permette di giungere a risultati statisticamente significativi: non da questi risultati si possono trarre conclusioni positive sulla fattibilità di tale anticipo a livello generale, poiché in generale i bambini anticipatari provengono da settori socioeconomici relativamente privilegiati, il che, com’è noto, dal punto di vista scolastico costituisce un forte handicap positivo. Si tratta di un terreno su cui sarebbero indispensabili ricerche empiriche per capire cosa è opportuno fare, così come del resto sulla vexata quaestio del maestro unico contro modulo a tre. Ma nel nostro paese si preferisce di gran lunga continuare a battagliare sulle “premesse in cielo”, in questo caso razionalismo funzionalista contro spontaneità infantile.

Per i ripetenti invece nei risultati Invalsi non c’è gara: si tratta di una variabile fra le più fortemente correlate a risultati inferiori alla media. Da anni a livello internazionale la ricerca lo dice ed ora definitivamente anche in Italia è appurato che ripetere non serve a migliorare ed infatti i ripetenti sono anche in Pisa i ragazzi con risultati peggiori. 

La ripetenza sta del tutto sparendo fino a 14 anni nella scuola dell’obbligo e, anche se in misura minore, nel triennio della superiore. Si tratta però piuttosto di una resa per sfinimento dei docenti, che spesso va insieme con la indeterminazione degli apprendimenti realmente ottenuti dagli allievi e pertanto con l’abbassamento dei livelli perseguiti. Si addensa invece nel biennio fra i 14-16 anni dove si affianca all’abbandono, soprattutto al Sud. Quando si parla dei risultati dei quindicenni delle macroaree Sud e SudIsole non va dimenticato che una buona percentuale degli stessi è già fuori dalla scuola a quella età e si tratta evidentemente dei ragazzi più “deboli”. Gli analisti Pisa rilevano peraltro che paradossalmente i paesi in cui la percentuale di ripetenza è più alta sono anche quelli in cui i risultati sono più bassi. È più che probabile che si tratti di fattori paralleli e non necessariamente legati da un rapporto causale, fattori ambedue determinati dal basso livello culturale (ed a monte economico-sociale). Ma molto gli stessi analisti attribuiscono al fatto che la scuola tende ad utilizzare questo strumento piuttosto che altri compensativi più efficaci. Tutto vero, ma spesso i ricercatori che non ha mai messo piede nelle aule, stentano a capire che la ripetenza, soprattutto nel periodo dell’adolescenza è così difesa, anche dagli insegnanti migliori, per il suo valore di deterrenza, il suo significato di punizione. Argomentazione da tenere in conto in tempi in cui si tende ad abbandonare l’idea che da sola la famosa carota possa governare le comunità umane.

La terza caratteristica individuale indagata nel Rapporto è quella della nazionalità: si tratta dei risultati degli stranieri di prima e seconda generazione. Un gruppo che oramai oscilla intorno al 10%, con punte più alte – per ora – alla primaria. Continua ad essere significativo il divario con gli autoctoni, con risultati prevedibilmente migliori per quelli di seconda generazione. Sarebbe in realtà interessante capire qualcosa di più sulla differenza fra queste due diverse tipologie, per capire quanto le modalità di intervento della scuola sono efficaci. Lo scarto è maggiore per italiano che per matematica, anche qui prevedibilmente poiché gli apprendimenti che utilizzano codici più astratti e trasversali favoriscono stranieri e studenti con più basso livello economico-sociale che hanno minori vantaggi culturali. Le differenze sono maggiori dove gli stranieri sono di più cioè al Nord; al Sud infatti, dove le percentuali raramente superano il 2%, le differenze sono minori. Più che ad una maggiore integrazione dovuta al minore numero, forse la ragione va cercata anche nel basso livello dei risultati degli autoctoni.