“Giovani e occupazione”, è il tema: ma che cosa vuol dire, davvero? Che cosa lega questi due termini? Per impostare correttamente la questione bisogna fare un passo indietro; perlomeno, così ho imparato nella mia esperienza, prima di ragazzo “difficile” (per tanti anni non sapevo quel che volevo, non studiavo, sono stato ripetutamente bocciato, neppure lavoravo – adesso mi chiamerebbero “neet” (not in education, employment or training), oggi di responsabile di un centro che eroga formazione professionale a migliaia di ragazzi (più di 3mila in una decina d’anni, per non parlare degli adulti).



Che cosa mancava a me quando ero ragazzo, e non avevo voglia né di lavorare né di studiare? Che cosa manca ai neet di oggi che vengono nei nostri centri? Lo dico non con le mie parole ma con una preghiera della liturgia, a me carissima: “O Dio, che hai preparato beni invisibili per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio”. Di che cosa hanno bisogno i ragazzi – tutti i ragazzi, di ieri e di oggi, studiosi e no? Di qualcuno che mostri loro che la vita è un rapporto con Uno, è un dialogo con Uno, Uno che è buono e che ti aspetta nella realtà.



Nella realtà, nel tuo pezzo di realtà, proprio lì, nelle cose che ti capitano: nel motore se sei un meccanico o nei capelli se sei una parrucchiera. Questo è, per la mia esperienza, il segreto dell’educazione in generale e della formazione professione in maniera specifica: scoprire, in azione e non ascoltando discorsi, che la realtà è buona, che non c’è aspetto della realtà che non sia interessante, che non c’è attività in cui uno non possa esprimere se stesso.

Questa posizione diventa poi immediatamente il criterio per giudicare tutto. Per esempio: non solo noi insegniamo un mestiere, ma insegniamo – proviamo a insegnare, almeno… – a essere i migliori nel proprio mestiere. E nei mestieri di adesso, non del passato. Una volta c’erano i maestri d’ascia, oggi sarebbe ridicolo. Ma quanti centri di formazione offrono percorsi all’avanguardia, per fare solo qualche esempio, nel campo dell’informatica industriale, delle materie plastiche, del carbonio, quanti mandano i loro ragazzi a fare stage di lavoro in aziende di avanguardia, all’estero… Noi vogliamo formare dei tecnici altamente specializzati, quelli che una volta hanno fatto il miracolo economico italiano negli anni Cinquanta e Sessanta, i quadri intermedi; per questo puntiamo a una formazione di eccellenza, e con una particolare attenzione all’auto-imprenditorialità. Non perché il problema sia fare i soldi, far carriera; che non guastano, ma sono una conseguenza, una conseguenza del gusto per il proprio lavoro, della soddisfazione di saper trattare al meglio quel pezzo di realtà che hai davanti, di guardare un lavoro e dire: “Che bello! Com’è fatto bene! E l’ho fatto io…”.



In questa dinamica sta, io credo, il segreto della formazione professionale. Quanti ragazzi sono arrivati da noi mortificati, avviliti da un percorso scolastico non adatto a loro, e da noi – e in tanti altri centri come il nostro – sono rifioriti, hanno scoperto che anche loro hanno un valore, hanno delle capacità, valgono.

Non che io abbia niente contro i licei, le scuole dove si fa solo cultura, ci mancherebbe; ma le strade per accompagnare i ragazzi a diventar grandi sono anche altre. Non lo dico io, lo ha detto nientemeno che papa Francesco: “Le scuole sono uno strumento prezioso per dare un apporto al cammino della Chiesa e dell’intera società. Il campo educativo, poi, non si limita alla scuola convenzionale. Incoraggiatevi a cecare nuove forme di educazione non convenzionali secondo ‘le necessita dei luoghi, dei tempi e delle persone'”.

Lo confermano i fatti: se dieci anni fa la maggioranza dei nostri alunni arrivava dopo una o due bocciature in altre scuole, adesso il 95 per cento si iscrive direttamente dalla terza media. E questo smentisce una mentalità ancora dura a morire, ma falsa; la formazione professionale non è destinata all’area del disagio, ai ragazzi difficili e simili: è una scuola per tutti, per ragazzi che hanno difficoltà particolari – che qui, certo, trovano un modo di imparare più consono − e per altri che non ne hanno, che semplicemente scelgono questi percorsi perché li considerano più adatti a sé.

E a tal proposito vorrei concludere con una storia. Antonio vive in una casa di campagna e soffre di una grave malattia che gli impedisce di andare a scuola. La madre è preoccupata per questo figlio che non può seguire gli studi come tutti gli altri: “Che sarà della vita di un bambino infermo?”. Un giorno Antonio raccoglie dal prato una lumaca e la tiene a lungo tra le mani, poi va dalla mamma gridando: “Mamma guarda! Che cos’è?”. “È una lumaca, è una chiocciola”, risponde la madre, che al contempo si rende conto che quel bambino non sta giocando con la chiocciola, ma la sta studiando. Lo stesso atteggiamento che ha anche davanti ad una gallina che razzola nel cortile della casa, quando osserva il volo di una colomba in cielo, quando guarda i mandarini davanti alla porta della piccola casa, perfino quando guarda le pietre del suolo o le montagne che chiudono l’orizzonte verso nord. “Questi saranno i suoi libri”, esclama la madre, “e la realtà sarà la sua scuola. Dio farà il resto”. 

Questo bambino si chiamava Antonio Gaudi, l’architetto della Sagrada Familia, che ha fatto di questo rapporto con le cose esattamente il punto di partenza di tutto il suo incredibile genio architettonico. Poi ovviamente avrebbe studiato – come fanno tanti dei nostri ragazzi che, ripreso attraverso il rapporto con le cose il gusto della scoperta, poi riprendono in mano anche i libri, e arrivano all’esame di Stato del quinto anno, alla formazione tecnica superiore, qualcuno perfino all’università − ma il punto di partenza non furono i libri, furono le cose. Egli ha avuto a che fare con la realtà materiale, naturale, e l’ha guardata non per gioco, ma per studiarla, per capirla, per capire quello che aveva intorno. Questo è il metodo che rischiamo a tutti i livelli, in tutti i corsi, coi nostri ragazzi.

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