Siamo in pieno semestre europeo a presidenza italiana e alla vigilia dell’annunciato piano per la rivisitazione e il rilancio  della scuola italiana. Al Meeting di Rimini oggi discuteremo con diversi interlocutori, tra cui il ministro Poletti, del tema “Giovani, Formazione e Lavoro” partendo dalla domanda di come si può contribuire in modo sostanziale all’occupabilità dei giovani utilizzando al meglio i fondi europei a partire dalla Youth Guarantee. Domande cha abbiamo affrontato anche nell’incontro di lunedì con il ministro Giannini.



L’occupabilità dei giovani potrà crescere solo se avremo il coraggio di ripensare all’intero sistema educativo; ci vuole una scuola capace di dialogare maggiormente con l’impresa e con il mondo del lavoro, ci vuole un rafforzamento del sistema di formazione professionale dei giovani, che laddove esiste ha già ampiamente dimostrato di saper dialogare col mondo del lavoro, di essere uno strumento efficace contro la dispersione scolastica, di ridare dignità e valore al lavoro manuale, di ottenere alti trassi di inserimento lavorativo (70% al primo anno, 85% al secondo) coerenti con i percorsi di studio e di laboratorio frequentati dagli studenti (nel 65% dei casi).



Purtroppo questo sistema è presente in modo diffuso solo in un pugno di regioni del Nord  (Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna).

In questi mesi sia Poletti che la Giannini hanno riconosciuto il valore e l’efficacia di questo sistema, tanto che verrebbe da pensare che è la volta buona! Ma allora perché si fa fatica a procedere in questa direzione? Per ignoranza e per pregiudizio.

Gran parte della classe politica ignora la presenza delle tante realtà di eccellenza generate dalla formazione professionale per non parlare di molti dirigenti dei ministeri e degli enti locali quasi sempre incatenati alle loro sedie, alle loro leggi, decreti e delibere, che non si sono mai presi la briga di andare a vedere con i loro occhi.



Esiste poi un pregiudizio, figlio di un retaggio antico, ancora presente (soprattutto) in una parte della sinistra e del sindacato, che considera la formazione e il lavoro manuale quasi una condanna e dunque ritiene che solo la scuola possa educare, mentre nella formazione professionale al massimo si fa addestramento. Al contrario di quello che pensano queste persone, la formazione è invece uno strumento incredibile di mobilità sociale, è un modo efficace di favorire l’inserimento dei giovani al lavoro, è una risposta per quei tanti posti di lavoro che si perdono per mancanza di profili adeguati. Se queste persone visiteranno i tanti buoni centri di IeFP potranno accorgersi che non solo gli studenti della formazione professionale hanno competenze professionali e di mestiere di altissimo livello, ma che competono tranquillamente con la scuola anche sulle conoscenze umanistiche e linguistiche.

Se avremo il coraggio di partire dalla realtà, di valorizzare le eccellenze presenti, le cose che funzionano, la moneta buona scaccerà la moneta cattiva. Solo se ci sarà una formazione di eccellenza i cui parametri siano costantemente monitorati dal Governo e dalle Regioni, in cui il criterio di riparto delle risorse finanziare segua il principio del merito e dei risultati ottenuti, potremmo combattere la formazione fasulla (che pur esiste) che serve solo a mantenere i formatori. Se faremo così non avremo problemi di risorse! 

Su questa sfida le migliori esperienze di formazione professionale (salesiani, Acli, Consorzio Scuole Lavoro, etc.) presenti nel nostro Paese sono disposte a impegnarsi e a mettersi in gioco. 

Per non essere astratti, al Meeting abbiamo lanciato due proposte operative.

La prima consiste nel rendere possibile ai giovani e alle famiglie italiane la scelta prevista dalla legge di poter frequentare i percorsi di formazione professionale. Siamo coscienti della scarsità di risorse e comprendiamo la necessità di procedere con gradualità. Per questo proponiamo un progetto, principalmente rivolto al sud del paese, volto ad avviare, in via sperimentale e limitata, una positiva disseminazione delle esperienze e delle eccellenze già consolidate in alcune regioni del Nord. È un atto di equità, di giustizia e di speranza per le tante domande che sorgono dalle periferie esistenziali presenti anche nel nostro paese. 10-15 centri di eccellenza nelle nostre regioni meridionali potrebbero essere l’architrave su cui costruire gradualmente una solida offerta di servizi di formazione e inserimento al lavoro dei giovani. Anche i programmi come quello di Garanzia Giovani diventerebbero efficaci superando le tante difficoltà che come è noto quest’ultima sta incontrando; difficoltà che sono tanto maggiori quanto meno significativa è la presenza di un sistema consolidato di formazione professionale, infatti un reale matching tra domanda e offerta di lavoro non si genera con un clic, ma attraverso una consolidata rete di relazioni tra mondo educativo e mondo dell’impresa; proprio quelle relazioni che permettono al sistema di IeFP di ottenere i citati lusinghieri risultati in termini di successo formativo e di inserimento lavorativo.

Questo progetto sarebbe reso possibile utilizzando una minima parte dei fondi a disposizione dei Pon (Programmi operativi nazionali) del Miur e del ministero del Lavoro. Da queste esperienze di eccellenza si potrà partire per costruire nel tempo un vero e articolato sistema formativo nell’intero Paese su cui sarà possibile “innestare”, via via, le diverse politiche specifiche (formazione iniziale e di specializzazione, orientamento specialistico, tirocinio ed apprendistato, incrocio domanda/offerta, creazione d’impresa).

La seconda proposta consiste nello sperimentare nuove forme di apprendistato nell’ambito del sistema di formazione professionale.

Da anni sentiamo parlare di apprendistato come via maestra per l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani. Ma gli esiti tardano a venire, soprattutto per l’apprendistato dei giovani adolescenti. 

Per questo proponiamo di promuovere una proposta per strutturare percorsi di apprendistato incardinati nell’ambito dei percorsi triennali e quadriennali di IeFP; si tratterebbe di modificare la struttura del terzo e del quarto anno e di prevedere, dopo il conseguimento della qualifica o del diploma professionale, la possibilità di prosecuzione del percorso in apprendistato professionalizzante. Il modello (che ricalca quello previsto dall’accordo 17 febbraio 2014 Enel-Governo) prevedrebbe un’attività di tirocinio seguita dall’assunzione in apprendistato per il conseguimento della qualifica e/o del diploma professionale. Durante il periodo di apprendistato gli allievi dovrebbero svolgere attività formativa sia presso l’ente formativo (400 ore) sia presso l’impresa (590), il contratto di apprendistato attivato dall’impresa sarebbe a tempo parziale e l’esame di qualifica o di diploma si svolgerebbe nell’ambito delle sessioni ordinarie degli esami dei percorsi IeFP regionali. Successivamente alla conclusione del periodo di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale (art. 3 del DLgs 167/2011), l’impresa avrebbe la facoltà di stipulare un nuovo contratto di apprendistato professionalizzante (art. 4 del D.Lgs 167/2011)  contratto che  potrebbe avere durata massima di 24 mesi.

Anche in questo caso si potrebbe partire in via sperimentale con un numero predeterminato di apprendisti. 

Queste due proposte sono un tassello fondamentale per la costruzione di un vero sistema duale, altro argomento di cui tanto si parla e, purtroppo spesso, con scarsa cognizione di causa, cercando di scimmiottare sistemi come quello tedesco senza aver coscienza ad esempio della diversità delle dimensioni medie delle nostre imprese, della tradizione di relazioni sindacali, dei rapporti tra pubblico e privato.

Non resta che augurarci  che l’annunciato  programma per il rilancio della scuola e dei sistemi educativi previsto per il 29 agosto, contenga e contempli l’impegno per lo sviluppo del sistema formativo nel nostro paese e che il semestre europeo a presidenza italiana sia l’occasione per uscire dal limbo. Senza questo impegno e questo coraggio i giovani resteranno privi di una grande opportunità.

Certo la strada e complessa, ma è possibile. D’altra parte i  “tweet” sono simpatici, a volte utili per lanciare un messaggio culturale, ma non bastano per “cambiare verso”all’Italia ne per creare per occupazione.

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