Oggi il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto approvare le linee guida sulla riforma della scuola targata Renzi-Giannini. Il pacchetto scuola, si è saputo nella serata di ieri, è stato spostato per evitare che il Cdm contenesse troppe materie, insomma che ci fosse troppa carne al fuoco in una riunione dell’esecutivo già piena di provvedimenti importanti e complessi come la riforma della giustizia e il decreto Sblocca Italia.
Un rinvio che, naturalmente, finsce per alimentare gli interrogativi: ci sono problemi di copertura finanziaria? Oppure è stato il capo dello stato, Giorgio Napolitano, che Renzi ha incontrato ieri in serata (e prima della nota diffusa dalle agenzie) a suggerire al premier maggiore prudenza?
In ogni caso, è possibile fornire una prima reazione sulla base delle indiscrezioni trapelate in questi giorni.
Tanti i temi che dovrebbero essere affrontati: dalle competenze degli studenti alla carriera dei docenti, dall’alternanza scuola-lavoro all’insegnamento della musica e della storia dell’arte, fino all’autonomia degli istituti scolastici.
Ma il principale nodo gordiano che la riforma della scuola targata Renzi-Giannini ha l’ambizione di provare a sciogliere è quello del precariato dei docenti, con una cura definitiva di questa piaga, vero e proprio “agente patogeno del sistema scolastico, batterio da estirpare”, per usare le parole del ministro al Meeting di Rimini. Si tratterebbe, quindi, di impostare un nuovo corso della politica della formazione, selezione e gestione del personale scolastico che si trascina stancamente lungo tutto il corso della nostra storia repubblicana.
L’operazione sarebbe condotta principalmente attraverso una massiccia stabilizzazione dei “precari storici”, prevedendo un’assunzione di circa 100mila insegnanti nel triennio 2015-2018 (50% dalle Gae e 50% da un nuovo concorsone) e con un aumento dei docenti di sostegno (dovrebbero passare da 67mila a 90mila). Allo stesso tempo partirebbe l’organico di rete funzionale, superando quello “di fatto” e “di diritto” che attualmente genera il sistema delle supplenze. Se si considera poi che tra il 2017 e il 2022 il 40% della classe docente dovrà essere sostituita (non a caso abbiamo i docenti più anziani d’Europa), si capisce bene a quale grande e cruciale occasione ci si trovi davanti.
Se, dunque, il principale provvedimento sulla scuola targata Renzi (tema sempre molto caro e “sbandierato” dal premier fin dall’inizio della sua corsa elettorale alle primarie del Pd), si limitasse a una maxi-assunzione di dipendenti pubblici fatti con soldi del bilancio dello Stato (cioè di tutti noi) in una situazione di grave e perdurante crisi economica e di estremo contingentamento delle risorse statali, ecco che forse ci si troverebbe davanti a una cocente delusione, una sorta di revival di quanto già visto per anni nel corso della Prima (e Seconda) Repubblica.
Come sempre, la prima grande questione riguarda dove trovare le risorse economiche per un piano così impegnativo. In questi giorni si sono avanzate le ipotesi più disparate per i costi dell’operazione: per alcuni (Sole 24 Ore, 27 agosto) il piano di assunzioni costerà 570 milioni; per altri (Repubblica, 27 agosto), invece, un miliardo e mezzo; per altri ancora, (Corriere della Sera, 28 agosto) “le novità, compreso tutto quanto è legato alle assunzioni dei precari e a nuove immissioni di insegnanti, costano tre miliardi all’anno a regime”.
L’imponenza di una tale mossa rappresenterebbe per lo più un’occasione sprecata se, per consentire un’immissione in ruolo in massa di precari, venisse vanificata, ancora una volta, l’annunciata rivisitazione della legge n. 62/2000 sulla parità scolastica, al fine di introdurre una defiscalizzazione delle rette di iscrizione alle scuole paritarie. Oppure ancora venisse annacquato un rilancio e un ammodernamento in chiave autonomistica del nostro sistema d’istruzione che avvicini il nostro Paese a quanto già avviene da anni in Europa. Fanno ben sperare, in questa direzione, le parole del ministro Giannini che ha annunciato invece di voler procedere a una vera e propria “rivisitazione rivoluzionaria delle regole del gioco”. Staremo a vedere, quindi, se si tratterà solo di un’opera di manutenzione dell’esistente o ci sarà qualcosa di veramente innovativo.
È certamente un bene l’impegno, se così sarà, del governo di stabilizzare la situazione lavorativa e contrattuale di migliaia di docenti precari, anche se questa (per ora ipotetica) mossa potrebbe rimanere marginale dal punto di vista degli studenti e delle famiglie: cosa ne sarà, infatti, della cosiddetta “continuità didattica” se un docente, incaricato temporaneamente di una sostituzione, sarà stabile (cioè sarà assunto con un contratto a tempo indeterminato) anziché precario? Sicuramente quest’ultimo potrà svolgere la sua funzione docente in maniera più distesa e senza dannose e ingiuste preoccupazioni, ma qual beneficio ne avranno gli studenti?
Speriamo davvero che sia #lavoltabuona per un rilancio della scuola italiana, per poter dire che l’#italiariparte, senza che ci si limiti a un’ennesima maxi-assunzione di precari, spendibile elettoralmente ma dal notevole costo sociale ed economico (come già avvenuto, almeno in parte, con il famoso e alquanto “fumoso” bonus da 80 euro: molto “fruttifero” in termini di consensi elettorali alle europee, ma totalmente inefficace e ininfluente sull’andamento dell’economia).
Non ha tutti i torti Corrado Passera quando afferma, in un’intervista rilasciata ieri ad Avvenire, di dichiararsi deluso se “in tempi di spending review e di sacrifici, l’unica proposta concreta che uscisse dal governo fosse quella di un’enorme infornata di precari, senza guardare al merito”.
Assumere migliaia di docenti precari della scuola italiana, inoltre, potrebbe essere a breve non più una scelta ma una stretta necessità, un mero atto dovuto per l’amministrazione dello Stato: è evidente, infatti, tutta la preoccupazione per la “spada di Damocle” rappresentata dalla prossima (probabile) condanna, prevista per ottobre, della Corte di giustizia europea all’Italia per il reiteramento dei contratti degli insegnanti per più di tre anni consecutivi… Si potrebbe dire, quindi, di necessità, virtù… Ma se così fosse, sarebbero consigliabili toni meno trionfalistici.
Con questo prima reazione non si vuole fare del “benaltrismo“, iscrivendosi al lungo elenco degli italici gattopardi per cui ci vorrebbe sempre ben altro… Ma è un dato di fatto che sia il premier Matteo Renzi, sia il ministro Giannini, hanno suscitato una notevole aspettativa nel mondo della scuola e non possono certo sprecarla con una operazione di consenso e di facciata.
Rimane aperta quindi la speranza che a dominare le decisioni del Consiglio dei ministri odierno non sia esclusivamente l’ansia di ricercare ancora un immediato consenso, ma il coraggio e la lungimiranza di scelte che proiettino il nostro Paese e il nostro sistema formativo verso il futuro.