Un interessante articolo di Claudio Giunta apparso domenica 20 luglio sul Domenicale del Sole 24 ore manifesta un certo disagio per l’estensione dell’insegnamento della letteratura italiana ai classicisti nel triennio.

Dopo una captatio benevolentiae  rivolta alla categoria classicisti, il prof. Giunta  contesta senza mezzi termini  il provvedimento del MIUR che “dichiarando ‘atipica’ la classe di concorso 051 (italiano e latino nei licei), ha dato anche ai laureati in lettere classiche (classe di concorso 052) la possibilita` di insegnare italiano non solo nel biennio (dove gia` potevano) ma anche nel triennio dei licei (dove non potevano).”



Io ritengo che il professore alluda alla recente circolare MIUR n° 3119 del 1° aprile 2014 che tratta dell’assegnazione degli insegnamenti “atipici”, cioè di quelle classi di concorso concorrenti per i medesimi insegnamenti, con un complicato meccanismo di precedenze  che potrebbe comportare pasticci, ricorsi ecc. da parte dei docenti.



Al di là delle disposizioni ministeriali e dei contenziosi che potrebbe generare tra graduatorie di istituto, ad esaurimento, Tar, ecc., mi sembrano interessanti le osservazioni e le riflessioni del prof Giunta.

Innanzitutto una precisazione.  Anche prima delle ultime disposizioni, se un classicista aveva nel curriculum universitario il numero di esami richiesto per l’insegnamento di italiano in triennio (ai miei tempi due annualità di letteratura italiana), pur appartenendo alla classe di concorso 052, non aveva alcun limite per l’insegnamento in triennio, essendo la medesima richiesta vigente per i modernisti.



Il prof. Giunta sostiene poi perentoriamente: “non credo che i laureati in latino o in greco o in glottologia, e insomma in discipline classiche, dovrebbero insegnare la letteratura italiana nelle scuole superiori. 

La ragione e` che, nel corso dei loro studi all’universita`, latinisti e grecisti fanno pochi esami di letteratura italiana e (salvo eccezioni) non ne fanno nessuno di discipline come Filologia romanza, Filologia italiana, Letterature comparate, Letteratura italiana moderna e contemporanea; e danno anche pochi o nessun esame di lingue e letterature straniere. […] Credo solo che, a scuola, le letterature moderne vadano insegnate da chi ha preparazione specifica sulle letterature moderne, e passa il suo tempo a leggere Proust e Gadda piuttosto che Menandro e Ovidio. Si possono fare le due cose insieme? No, non direi, e mi pare che questo pregiudizio favorevole ai classicisti (‘se uno sa bene il latino puo` insegnare tranquillamente anche letteratura italiana’) abbia un’influenza negativa sia su come s’insegna la letteratura a scuola sia su quale letteratura s’insegna.”

Francamente la parte dell’argomentazione riferita al curriculum universitario mi pare debole. Seguendo un analogo criterio ci si dovrebbe domandare: perché fare insegnare latino ad un modernista? perché fare insegnare storia ad un filosofo? perché far insegnare matematica ad un fisico o viceversa? Chi può dire di avere reali competenze specifiche nella nuova disciplina in geo-storia? La questione è ovviamente enorme ed è per questo che il ministero, pur avendo promesso da anni di mettere mano alle classi di concorso, non ne è ancora venuto a capo.

Ma, giustamente, Giunta solleva un’altra questione: la competenza acquisita nella pratica didattica. È innegabile che frequentare certe letture per anni crea una familiarità personale e didattica immensa. Ovviamente chi legge costantemente Virgilio, Omero, Sofocle …  e non Gadda sarà impacciato nel presentare quest’ultimo con la medesima competenza e padronanza. Personalmente però conosco amici che, laureati come me in lettere classiche, con due annualità di italiano, gli stessi titoli – ripeto- richiesti ai modernisti,  hanno da subito insegnato italiano in triennio acquisendo in tal modo un’invidiabile competenza e professionalità.  Il curriculum universitario, quindi, mi sembra garantire in modo fondamentale ma  solo parziale la competenza didattica.

Inaccettabili e indizio di un certo pregiudizio mi sembrano invece altre considerazioni del professor Giunta: 

“Quanto al come, e` difficile, per chi si e` specializzato in latino o in greco, rinunciare alla tentazione di leggere, nei moderni, l’impronta dei classici. Questo atteggiamento e` spesso legittimo, naturalmente, ma altrettanto spesso provoca, specie nei piu` dogmatici (non ne mancano, tra i classicisti), un tematismo ingenuo e antistorico (genere ‘La figura della donna da Catullo a Sereni’), e insomma rende poco sensibili alle discontinuita` e alle specificita` del mondo e della letteratura moderna, che per essere ben comprese necessitano, a mio avviso, di strumenti diversi. Quanto al cosa, chi ha dedicato i suoi studi al latino e al greco sara`, in genere, poco propenso a interessarsi e a dare spazio, nell’insegnamento, alla letteratura contemporanea, che del resto conoscera` solo superficialmente (onde aggiornamenti frettolosi, velleitari e a volte semplicemente stupidi, cioe` il salto da Virgilio a «quello che c’e` in vetrina da Feltrinelli», senza tappe intermedie). […]  Sono del parere che occorra ripensare in toto l’insegnamento della letteratura nelle scuole superiori, e in questo ripensamento (che vuol dire sfrondare, che vuol dire de-retoricizzare, e orientare sull’oggi piu` che sull’altroieri) i classicisti rischiano di essere piu` d’ostacolo che d’aiuto.”

A mio avviso un buon classicista deve leggere i moderni come un buon modernista non può non frequentare i classici.  Un buon insegnante, classicista o modernista,  non può non tener conto delle parole di Ernst Robert Curtius, certo da aggiornare quanto all’ultimo ‘classico’, ma che ritengo ancora valida nella sostanza :   “La letteratura europea abbraccia il medesimo periodo di tempo della cultura europea, comprende cioè circa ventisei secoli (calcolati da Omero a Goethe). Lo studioso che ne conosce direttamente solo sei o sette, e si rimette per tutti gli altri secoli ai manuali di consultazione, somiglia quel turista che visita l’Italia solo dalle Alpi all’Arno e impara tutto il resto dal Baedeker. Chi approfondisce esclusivamente Medio Evo e l’età moderna non riesce a comprendere bene neppure queste due epoche.”

 E non può nemmeno ignorare le parole di Thomas S. Eliot: “La tradizione non si può ereditare: se la si vuole avere bisogna conquistarla con duro lavoro. Essa comprende in prima linea il senso storico, che possiamo dire quasi indispensabile a chi voglia essere poeta anche dopo i venticinque anni; il senso storico costringe un uomo a non scrivere solo con la sua generazione nel sangue, ma col sentimento che tutta la letteratura europea da Omero in poi.” 

Chi non ha senso storico non può essere nemmeno un buon insegnante di materie classiche. Più volte, per esempio, ho sentito il prof. Zanetto, che ho avuto la fortuna di avere come docente al ginnasio per qualche tempo, ricordare come il suo maestro Del Corno andava alla ricerca degli elementi di discontinuità tra il mondo greco che stava trattando ed il presente.

Mi sembra debole sostenere che i la categoria “classicisti” leggerebbe i moderni essenzialmente alla luce dei classici. Tentazione  uguale ma di segno opposto a mio avviso sarebbe sostenere che i  “modernisti” deliberatamente ignorassero echi delle letterature classiche in quelle moderne.

Nessun uomo di cultura infine é privo di un piano di lettura e si comporta come don Abbondio che, come scrive Manzoni, “si dilettava di leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino, che aveva un po’ di libreria, gli prestava un libro dopo l’altro, il primo che gli veniva alle mani.”

In sostanza. Non si tratta di riproporre per i docenti una querelle des Anciens et des Modernes, per cui i classicisti sarebbero addirittura un “ostacolo”. Si tratta invece di delineare la figura professionale dell’insegnante di letteratura.

Un buon insegnante, che parta come classicista o modernista,  dovrebbe poter orientarsi nel mondo letterario ma soprattutto culturale, con una formazione costante. 

Nella questione cattedre, classi di concorso la questione è invece pratica,  di gestione risorse umane in base a specifiche competenze, anche acquisite sul campo non solo derivate da curriculum universitario.

Io ho sempre insegnato italiano in biennio, ritenendolo professionalmente indispensabile per non chiudermi nel recinto delle lettere antiche. Sinceramente per la mia formazione professionale, cosa che ho fatto presente alla preside, ritengo che un insegnamento di lingua e letteratura italiana in triennio sia più indicato che lo svolgano colleghi modernisti, non per pregiudizi, ma per una serena valutazione delle competenze nella situazione presente. Se le circostanze fossero diverse, si potrebbe pensare di valutare diversamente.

Per concludere torniamo alla nota del MIUR. Il vero problema nella precisazione del ministero mi  sembra un altro. Si è cercato di mettere un po’ di ordine in una situazione in atto da anni:  visto il calo di iscrizioni al liceo classico ed il taglio di ore di latino allo scientifico molti insegnanti modernisti (di classe 051: italiano e latino al liceo scientifico) sono stati spostati nel liceo classico, bloccando di fatto lo scorrimento in graduatoria dei classicisti  (052), spesso lasciando a questi ultimi solo l’insegnamento per cui hanno un’abilitazione specifica (greco). Ora potrebbe essere necessario  che classicisti vengano promossi sul campo docenti di lingua e letteratura italiana per ragioni di gestione dell’organico (cioè per dare un posto a persone che hanno fedelmente servito la scuola). Operazione analoga a quella che è successa per la primaria dove, per realizzare l’obiettivo dell’inglese insegnato a tutti, non potendo sostenere il costo di insegnanti specialisti sono state  promossi sul campo come insegnanti di lingua maestre prive della specifica competenza.

Se fosse così si tratterebbe non di una questione di curriculum, di classicisti, modernisti ecc., ma semplicemente di un atto amministrativo per la gestione dell’organico. Ben altra cosa!