È di questi giorni la notizia, imprevista e clamorosa, della bocciatura della possibilità di pensionamento per 4.000 docenti e personale ATA da parte del Senato su proposta del Governo, sottoposto a sua volta al diktat della Ragioneria di Stato. Giornali e telegiornali se ne stanno occupando in maniera diffusa. E a ragione. Assoluto il silenzio, invece, sull’esito di un altro emendamento al decreto di riforma della Pubblica amministrazione proposto dal Governo, e approvato, invece, dal  Parlamento che propone il blocco delle proroghe di contratto dei 180 dirigenti delle scuole statali che hanno raggiunto i limiti di età e di servizio i quali, a seguito dell’approvazione dell’emendamento stesso, saranno obbligati dal 1 settembre prossimo al pensionamento “forzato”.



Il Governo ha appoggiato la causa di tale emendamento, al contrario di quanto avvenuto per docenti e personale ATA, sostenendo che il blocco delle proroghe ai contratti dei prèsidi “anziani” faciliterà il parziale rinnovo della dirigenza scolastica con l’ingresso di nuove leve. Come a far credere che a tot pensionamenti nella scuola di Stato corrispondano automaticamente tot ingressi in ruolo. A conti fatti non è però dimostrato che a ogni pensionamento, naturale o forzato che si voglia, corrisponda l’ingresso automatico di nuovi dirigenti scolastici.



Il pensionamento forzato dei circa 180 prèsidi crea, invece, nei fatti, un doppio danno: ai presidi in questione e alla scuola e alle scuole. Un danno ai prèsidi in causa a fine carriera disposti a spendere ancora uno o due anni a servizio della propria scuola, obbligati, invece, a tornare a casa senza poter offrire ancora la loro esperienza per il bene di tanti. E, poi, un improvviso e grave danno alle scuole, di cui nessuno sembra voglia accorgersi, che, per la verità, si protrae ormai da più di 5 anni: quello di un ulteriore incremento del numero delle reggenze di molti istituti in tutta la penisola.



I posti a dirigente scolastico già oggi privi di titolare in Italia sono circa 1.000: la mancata proroga di contratto ai 180 presidi di cui trattasi aggiungerebbe al migliaio altrettante ulteriori scuole. Complessivamente quasi 1.200 scuole su 8.038 si troveranno così dal prossimo 1 settembre 2014 senza guida autonoma (senza contare poi i 475 istituti scolastici sottodimensionati come numero di iscritti che, per legge, non possono avere un preside titolare).

L’uscita  dal servizio di questi dirigenti scolastici anziani non potrà, invece, essere immediatamente bilanciata dall’ingresso di nuove leve, tenuto conto che dal 2011 il ministero dell’Economia e Finanze non ha corretto il numero di nuove assunzioni di dirigenti scolastici oltre quelli previsti dall’ultimo concorso nazionale. Neanche potrebbe risolvere il problema l’indizione di un nuovo concorso per la copertura dei posti vacanti, tenuto conto che la sua conclusione ottimisticamente potrebbe veder insediati nuovi presidi non prima del 1 settembre 2016! Oltre il danno, anche la beffa. La proroga del contratto per un anno o due agli attuali 180 dirigenti scolastici con anzianità di servizio (almeno per quelli che ne hanno fatto richiesta) avrebbe, invece, consentito un “presidio” almeno per le loro scuole tutelandole dalla situazione di precarietà cui si trovano, invece, molte delle altre 1.475 scuole in reggenza.

Sembra che ancora una volta non si voglia considerare una situazione paradossale e, a dir poco, indegna di un Paese civile che più volte segnalata: la prospettiva realistica di 1.200 + 180 + 475 = 1.655 scuole su 8.038 (cioè il 20%) senza dirigenza autonoma per il prossimo anno scolastico! È questa la centralità che si vuol dare alla scuola pubblica di cui si è fatta paladino in questi mesi il premier Renzi e il suo Governo? Possibile che il mero calcolo economico taglieggi, ancora una volta, un servizio così decisivo come la scuola senza una seria presa di posizione del ministero dell’Istruzione?

Due pesi, due misure: a scuola 4.000 addetti che hanno – di fatto – maturato il diritto al pensionamento. A casa 180 presidi disposti a offrire la loro competenza per continuare a  reggere, con cuore e professionalità, le proprie scuole (e in molti casi anche altre scuole loro affidate in reggenza!). Il paradosso è che, con la riforma del titolo V della Costituzione, dal 2001 le istituzioni scolastiche vengono definite “autonomie”: peccato che a nessuno importi che il 20% di queste “autonomie” sia senza guida…autonoma.

Mentre una grande nave da rottamare come la Concordia riceve tante cure e attenzioni, la grande Nave dell’Istruzione naviga a vista, come in un “esodo” ineluttabile, nell’indifferenza dei più. E di questi tempi di emergenza educativa e culturale non è proprio una bella notizia.