Sono molti gli interventi sulla scuola che si possono trovare su giornali e riviste, in genere però si occupano solo di qualche aspetto del problema scolastico: i concorsi, le graduatorie, l’edilizia, la valutazione, i libri di testo ecc. Molto raramente si trova una riflessione globale sul problema scolastico.
Innanzitutto occorre rendersi conto che il problema scolastico è una parte del più ampio problema educativo, una parte essenziale ma una parte. Qualche anno fa si parlava molto di “emergenza educativa”, ora l’espressione è quasi del tutto scomparsa dalla pubblicistica, anche se non è scomparsa l’emergenza. Gli adolescenti continuano a suicidarsi, a morire sulle strade il sabato sera, a danneggiare edifici scolastici, per menzionare solo alcune punte dell’iceberg di un disagio diffuso.
Come mai di fronte a tanti evidenti problemi si registra un’impotenza ottusa? Non è una cosa normale. In altri paesi, per esempio l’Inghilterra e gli Stati Uniti, qualche tentativo, criticabile e imperfetto, si sta facendo, segno di sensibilità anche se non ancora di una piena consapevolezza. Come mai questa impotenza? Perché non si ha il coraggio intellettuale di mettere in discussione il tabù dello Stato gestore del sistema scolastico. Il tabù impone che lo Stato gestisca il sistema scolastico attraverso suoi funzionari, siano essi dirigenti di vario livello, insegnanti, amministrativi o bidelli. Si tollera così un mostro politico-burocratico (molto burocratico e poco politico) di dimensioni enormi che vive di vita propria ed è di fatto ingovernabile.
Le prime vittime di questo mostro sono gli insegnanti e i genitori, la cui capacità educativa viene ridotta quasi all’impotenza. Vediamo perché.
In questi ultimi decenni è venuto meno un quadro di valori condiviso fra genitori e insegnanti ed è aumentata la scolarità. Quasi tutti oggi vanno a scuola dai tre ai diciannove anni, l’ambiente scolastico ha perciò acquisito un’influenza decisiva nella vita di bambini e ragazzi e da questo ambiente i genitori sono di fatto esclusi (nonostante l’art. 30 della Costituzione che recita: “è diritto e dovere dei genitori mantenere, educare ed istruire i figli”). L’estraneità con il mondo della scuola fa si che si riducano gli spazi di esperienza che i genitori condividono con i figli e di conseguenza la loro capacità ed incidenza educativa.
Veniamo agli insegnanti. Il lavoro degli insegnanti si svolge all’interno dell’ambiente scolastico, in stretta collaborazione con colleghi ed altre figure professionali presenti nella scuola. In particolare la collaborazione con altri insegnanti assume sempre più importanza man mano che cresce l’età degli studenti, dalla scuola materna alla scuola superiore. Il lavoro dell’insegnante è perciò per sua natura un lavoro di squadra. Ma qual è la situazione attuale?
I collegi dei docenti, cioè l’insieme degli insegnanti che condividono la responsabilità di educare ed istruire gli alunni di una scuola, e i consigli di classe, formati dagli insegnanti che condividono la responsabilità di educare e istruire gli alunni di una classe, sono formati a caso o in base a dinamiche che poco hanno a che fare con lo scopo di una scuola.
Gli insegnanti che ne fanno parte spesso hanno visioni del mondo e della professione molto diverse e di conseguenza i rapporti sono di estraneità, quando non sono apertamente conflittuali. Il dirigente scolastico per coordinare il lavoro di collegi di docenti e consigli di classe ha dalla sua solo la normativa burocratica e la sua autorità morale (quando c’è ed è riconosciuta). Non c’è da stupirsi se un lavoro delicato e molto impegnativo svolto in queste condizioni diventi particolarmente usurante e il singolo insegnante spesso si scoraggi.
C’è poi il problema del “reclutamento”. Una gran parte degli insegnanti è ancora un “precario” a quarant’anni. Viene assunto a settembre e licenziato a giugno e cambia scuola ogni anno e si arriva al “ruolo” solo dopo molti anni, in genere in modo fortunoso, a seguito di “posti in graduatoria” conseguiti per anzianità o per la partecipazione a concorsi che vengono banditi raramente, a cui partecipano decine di migliaia di aspiranti, che si concludono dopo anni e sono funestati da parecchi ricorsi ai Tar (a questo proposito, non resta che aspettare per capire che cos’ha in serbo il governo Renzi).
Cosa fare per aiutare i genitori e insegnanti ad accrescere la loro capacità educativa così compromessa dall’organizzazione scolastica attuale?
Due cose. Primo: rendere le singole scuole realmente autonome, cioè far si che possano disporre direttamente di tutto ciò che serve loro per funzionare (personale, edifici e attrezzature). Secondo: affidare la responsabilità della loro gestione ad un consiglio di amministrazione i cui membri (che non devono essere genitori della scuola) siano eletti dai genitori della scuola ogni due anni.
Il primo punto è già condiviso da molti studiosi. Il secondo non è stato avanzato da nessuno eppure è un punto fondamentale. Cerco di darne le ragioni. I genitori sono stati emarginati da una scuola che funziona sostanzialmente a prescindere da loro: su ciò che si insegna, su come si insegna, su chi insegna, su dove si insegna i loro desideri e i loro bisogni non contano niente, eppure la Costituzione riconosce loro il diritto e impone loro il dovere di “educare e istruire i figli” (art. 30) forse non a caso. Se non si esercita una funzione, l’organo dedicato dopo un po’ si atrofizza. Così è successo alla capacità educativa di moltissimi genitori a loro insaputa.
La strada per un recupero non può consistere solo in conferenze sulla genitorialità, ma nel riconoscimento di effettive responsabilità su ciò che avviene nella scuola dei loro figli. L’elezione del Cda comporta delle candidature e una campagna elettorale, così come avviene quando si deve eleggere il sindaco e il consiglio di un piccolo comune. Ci sono diverse proposte di cui prendere coscienza e fra cui scegliere, c’è una gestione da seguire per avere criteri di giudizio per le prossime elezioni. In questo modo la consapevolezza dei problemi e la conoscenza delle possibili soluzioni aumenta nei genitori la loro capacità educativa e la possibilità di una collaborazione positiva con gli insegnanti.
Cosa si oppone a questa riforma? I soliti stereotipi contro la “privatizzazione delle scuola pubblica”, contro la possibilità delle scuole di scegliere i propri insegnanti invece di subire le non scelte del moloch burocratico perché “sarebbe il trionfo del clientelismo” eccetera eccetera, con la solita litania di luoghi comuni purtroppo ben radicati nella mente di troppe persone interessate a mantenere lo status quo a discapito di tutti, alunni, genitori e insegnanti e, alla fine, di tutta la società.
(l’autore dell’articolo è ideatore e curatore del sito www.cambiamolascuola.org)