Il Consiglio dei ministri ha autorizzato l’assunzione a tempo indeterminato di 15.439 insegnanti e 4.599 ausiliari tecnico amministrativi. Approvata anche l’assunzione di 13.342 insegnanti di sostegno e di 620 dirigenti scolastici. I candidati saranno scelti sulla base delle graduatorie provinciali, e i posti disponibili saranno ripartiti al 50% tra le due diverse graduatorie. Si tratta della prima tranche di assunzioni previste dal governo Renzi, che nel piano scuola ha programmato l’ssunzione di 150mila precari. Ne abbiamo parlato con Roger Abravanel, editorialista del Corriere della Sera.
Che cosa ne pensa di questa prima infornata di assunzioni approvata dal governo?
Questa iniziativa sarà certamente un successo per Renzi dal punto di vista elettorale, ma non produrrà reali benefici per studenti e famiglie. L’obiettivo del premier è stabilizzare i precari, un problema che dura da 15-20 anni, e che si è accumulato perché lo Stato da tempo non fa i concorsi. Al termine dei corsi di formazione, questi insegnanti non sono mai stati regolarizzati e sono rimasti come precari anche se in realtà facevano spesso un lavoro a tempo pieno.
Come valuta le motivazioni con cui Renzi ha giustificato la sua scelta?
L’impegno del governo serve certamente a stabilizzare i precari, anche perché ci troviamo da tempo ad avere a che fare con crescenti proteste. Nello stesso tempo Renzi ha spiegato che, mettendo i docenti nell’organico, non ci saranno più problemi in aula e non mancheranno più i professori. Invece tutti i dati dimostrano che anche dopo i tagli della Gelmini, in Italia il numero di insegnanti per studenti è superiore alla media Ocse. Non è quindi vero che mancano gli insegnanti, è vero invece che c’è un problema di disorganizzazione e frammentazione. Assumere degli insegnanti non è dunque nell’interesse delle scuole.
Quali problemi sono lasciati fuori dalla riforma?
Il problema più grave è che la riforma non affronta il nodo della meritocrazia. Il vero problema della scuola italiana è la qualità dei docenti, che è molto variabile tra Nord e Sud, e da scuola a scuola, come testimoniato dai test Ocse-Pisa e anche dallo stesso Invalsi. Questo problema si affronta solo attraverso la valutazione delle scuole.
Che cosa ne pensa dell’autovalutazione?
Ritengo che si tratti di una bufala. In Finlandia, dove non c’è la valutazione, ci sono i migliori insegnanti, perché le scuole selezionano gli insegnanti tra i 5 migliori su 100. A questo punto c’è un rapporto di fiducia tale che le scuole si autovalutano, mentre l’Italia non organizza un concorso ormai da 20 anni. In Italia ci sono classi da 30 alunni e difficoltà a reperire gli insegnanti.
Davvero non c’è bisogno di nuove assunzioni?
Intanto i nostri insegnanti lavorano meno degli altri, e poi la media delle classi non è più alta. Non c’è inoltre nessuna correlazione tra la dimensione delle classi e i risultati. Uno dei miti è che occorrano classi più piccole e quindi ci sia bisogno di più insegnanti, mentre nella realtà non è così.
(Pietro Vernizzi)