Il sistema scolastico italiano si regge, com’è noto, sul lavoro di una miriade di insegnanti precari che lo Stato italiano assume il 1° settembre di ogni anno e “licenzia” il 30 giugno. Questa reiterata “prassi” ha dato vita, nel corso degli anni, a quella “precarietà istituzionalizzata” che contraddistingue il nostro sistema d’istruzione per quanto riguarda la gestione del personale docente. Ma le cose sembra stiano per cambiare una volta per tutte.



Innanzitutto il piano “La Buona Scuola” presentato dal premier Matteo Renzi si pone l’obiettivo di «chiudere una volta per tutte la questione del precariato storico della scuola italiana» attraverso un piano straordinario di assunzioni: svuotamento delle Graduatorie a esaurimento (Gae) e assunzione a settembre 2015 di tutti i circa 150mila precari con contratto a tempo indeterminato.



A questo importante e costoso traguardo (si stima una spesa di circa 3 miliardi di euro annui per il bilancio statale) si arriverebbe non solo per una precisa scelta politica dell’esecutivo, ma anche per la pressione giuridica che arriva dall’Europa. Tant’è che lo stesso documento del governo ne fa un fugace accenno a pagina 36, con il paragrafo 1.6 intitolato proprio “Un segnale forte per l’Europa”.

Infatti, la “supplentite” su cui si è retta finora l’amministrazione scolastica in Italia sarebbe in palese violazione con la direttiva del Consiglio Europeo del 28 giugno 1999, n. 70 (1999/70/CE, con particolare riferimento alla clausola n. 5), che prevede, per tutti i Paesi membri, la non reiterabilità dei contratti di lavoro a tempo determinato per più di tre anni di seguito.



La concreta applicazione di tale normativa europea era demandata alle singole disposizioni nazionali: l’Italia, dal punto di vista formale, l’ha recepita nel suo ordinamento tramite il Decreto Legislativo n. 368 del 6 settembre 2001. Peccato che, de facto, si sia continuato a gestire il personale scolastico come se nulla fosse cambiato (come più ampiamente documentato sulla rivista Nuova Secondaria).

Per questo nei mesi passati la Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione (n. 2010/2124 del 20 novembre 2013) nei confronti del nostro Paese.

La delicata controversia è arrivata alla Corte di giustizia europea in seguito alle questioni di pregiudizialità sollevate, tra gli altri, dal Tribunale di Napoli (cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo e a.) e dalla stessa Corte ostituzionale italiana che, con l’ordinanza n. 207 del 18 luglio 2013, ha voluto instaurare un dialogo diretto con la Corte di Lussemburgo: compito di quest’ultima è infatti proprio quello di garantire l’uniforme applicazione e interpretazione del diritto comunitario in tutti gli stati membri, anche a “detrimento” del diritto dei singoli Stati.

Il 17 luglio 2014 sono state rese note le – severe – conclusioni dell’Avvocatura generale della Corte di giustizia europea, a seguito dell’udienza del 24 marzo scorso, durante la quale si è rimarcata la situazione di grave inadempimento in cui versa l’Italia rispetto alla normativa europea in questione: secondo quest’ultima, infatti, «la normativa italiana non presenta misure sufficienti né a prevenire né a sanzionare il ricorso abusivo alla successione di contratti a tempo determinato e che tale privazione di tutela dei lavoratori nel settore scolastico è contraria all’accordo quadro». 

La sentenza della Corte di Giustizia è attesa per le prossime settimane (ottobre 2014).

Che cosa rischia dunque il nostro Paese? Innanzitutto una salata multa per la violazione della normativa comunitaria (si parla al riguardo di circa 10 milioni di euro). Ma questo forse è il meno: infatti, tenendo conto che in Italia ci sono circa 100/130 mila precari nella scuola, se tutti questi avessero diritto a ottenere un risarcimento del danno (oltre che l’assunzione a tempo indeterminato?), il colpo per le casse dello Stato italiano sarebbe enorme (la Commissione europea, nella sua memoria, al punto n. 99 lo ha stimato nella misura di qualche miliardo di euro!).

L’ultima tappa di tale vicenda è rappresentata dalla sentenza del 1° settembre 2014 della Corte d’Appello di Brescia con la quale si condanna il Miur a riconoscere l’anzianità di servizio a due insegnanti precari di Bergamo. La sentenza non dà risposta positiva rispetto all’obbligo di assunzione a tempo indeterminato, ma riconosce agli insegnanti l’anzianità di servizio e, con essa, anche il diritto agli scatti stipendiali non goduti.

Si potrebbe quindi dire che il governo abbia fatto “di necessità, virtù”: invece di aspettare qualche mese per poi essere costretto ad eseguire una sentenza europea, ha anticipato la mossa, facendola apparire come illuminata decisione politica.

@Francesco_Magni