“Vorrei sperare che Renzi quando dice e scrive ‘scuola’ intenda la scuola pubblica tutta, ossia quella statale e quella paritaria”; e poi: “mi sembra un’autonomia che mai decollerà perché manca la chiave centrale: l’autonomia finanziaria”. Sui docenti e la carriera: “un grande appiattimento verso il basso, senza differenziazioni”. Per arrivare ai precari: “manca un censimento: quanti di quelli che saranno assunti sono bravi insegnanti?”. A dirlo è Elena Centemero, responsabile scuola di Forza Italia. Ilsussidiario.net ha parlato con Elena Centemero del documento del governo Renzi sulla scuola, sul quale il governo ha appena avviato due mesi di consultazione pubblica.



A più di 10 giorni dalla presentazione del programma di Renzi sulla scuola, dovrebbe ora essere possibile darne una valutazione più “fredda”. Come lo trova, nel complesso?
È un punto di partenza più che un punto di arrivo. Un grande “libro bianco” che contiene molte nostre battaglie come la valutazione, il merito, lo stretto legame tra scuola e lavoro, una nuova governance… Mi permetta di dire che, con le Riforme Moratti e Gelmini, Forza Italia è stata una grande forza innovatrice e riformatrice: abbiamo aperto e percorso una strada nuova. Speriamo invece che questo Piano non si riduca al solo primo capitolo, all’assunzione di precari. Gli italiani, gli studenti e le famiglie non capirebbero. 



O forse lo capirebbero soprattutto gli insegnanti, visto che la scuola è uno dei più grandi serbatoi elettorali del paese… Si può parlare di merito e valutazione senza scontentare qualcuno? Renzi le sembra pronto a farlo?
Bisogna passare dalle parole ai fatti: per la scuola, come per l’Italia, questa è l’ultima chiamata, o si cambia ora o mai più. Certo bisognerebbe essere chiari di fronte al Paese e dire esattamente quanti sono i posti vacanti e disponibili, quantificare con certezza i posti per l’organico funzionale e non aggiungere materie di studio solo in funzione dei posti di lavoro. Il problema del precariato è un problema serio nella scuola e non si risolve certo con un’assunzione di massa: ne va della qualità delle scuole e della formazione delle nuove generazioni. Renzi dovrebbe avere il coraggio di fare un vero censimento dei precari e delle graduatorie: quanti sono bravi insegnanti? Quanti hanno davvero insegnato o invece, oggi, lavorano in altri settori o peggio sono disoccupati? Ci vuole il coraggio della serietà e la serietà del valutare le scelte.



È un documento corposo, che ora viene sottoposto a consultazione. Cosa pensa di questa iniziativa, nel metodo?
È un bene coinvolgere studenti, insegnanti, dirigenti, genitori e cittadini, su un tema che tocca tutti noi come la scuola. Anche noi abbiamo lanciato una consultazione pubblica sul mio sito, #PattoconlaScuola, e alcune proposte concrete che possono migliorare la qualità della formazione dei nostri studenti, valorizzare i docenti e rafforzare la collaborazione tra scuola, impresa e territorio. Una fase di ascolto serve per comprendere quali siano i reali bisogni degli studenti, le esigenze legittime delle scuole e le richieste dei genitori e del territorio. …

Con questo voglio dire che la scuola è e deve essere un luogo aperto, inclusivo, che abbia al centro l’educazione delle giovani generazioni. Ma è la politica che ha il compito e la responsabilità di proporre soluzioni concrete e lungimiranti. E ora i tempi sono maturi per un cambiamento profondo.

Lei sembra molto conciliante. Vuol dire che FI avrebbe potutto sottoscrivere con Renzi quel Piano? Le vostre proposte sono alternative o no?
La scuola è di tutti e tutti abbiamo il dovere di prendercene cura in qualsiasi livello di responsabilità ci troviamo. FI sosterrà alcuni punti, mentre su altri è critica e preoccupata, in primis sulle risorse finanziarie. Ma è difficile parlare senza avere sottomano norme e misure concrete. Vedremo e faremo le nostre proposte: costi standard, l’insegnamento di diritto ed economia in tutte le scuole, una carriera per i docenti…

E per il precariato?
Per il precariato, un piano in più anni, almeno tre, per esaurire le graduatorie ed in parallelo nuovi concorsi per aprire le porte delle scuole ai giovani. Infine per chi vuole abilitarsi all’insegnamento un intero anno scolastico con il sistema duale, in cui si alternano momenti di formazione nelle scuole e momenti di formazione nelle università, un apprendistato di alta formazione. Deve prevalere il principio “You must teach in class”, per cui da ora in poi nessuno può insegnare nelle nostre scuole se prima non ha dimostrato sul campo di essere un bravo insegnante.

Veniamo alla parte preponderante, quella dedicata ai docenti. Non vorrà negare che nessuno l’ha mai affrontata in modo così radicale…
I docenti, mi correggo i bravi docenti sono fondamentali per la formazione e la crescita delle nostre studentesse e dei nostri studenti, ma resta un dato di fatto che, a volte, mi sembra si dimentichi: centro della scuola sono gli studenti. In quest’ottica vanno fatte proposte concrete per gli insegnanti e per questo, da sempre, noi parliamo di valorizzare i docenti attraverso un serio e trasparente sistema di valutazione, che superi i meccanismi dei semplici scatti di anzianità. Il nostro obiettivo è puntare sulla qualità e la preparazione dei nostri insegnanti.

Il problema è il “come”. Come andrebbero valutati i docenti? Dagli ispettori? Dalle prove Invalsi? Passando per l’autovalutazione? O dovrebbero essere le scuole ad essere valutate per prime?
Vanno valutate sia le scuole sia gli insegnanti con un sistema che preveda l’interazione di ispettori, risultati degli apprendimenti e nuclei di valutazione interna alle scuole. Se vogliamo parlare di autovalutazione dobbiamo pensare però a parametri e standard nazionali, ad indicatori qualitativi e quantitativi, il tutto tenendo conto del contesto in cui opera una scuola o un docente. Le scuole veramente autonome hanno obiettivi assegnati da raggiungere e mettono in atto piani di miglioramento costanti sulla base dei risultati conseguiti e rendicontati alle famiglie e ai cittadini. La trasparenza è un altro fattore chiave per ridare alle scuole e ai docenti la dignità che meritano.

Nel Piano si accenna ad un cambiamento finora tabù. Si parla infatti di “nuovo stato giuridico” dei docenti. Che ne dice?

In realtà faccio fatica a vedere come gli scatti per il merito, che i docenti prenderanno solo dal 1° gennaio 2019, si concilino con un “nuovo stato giuridico”, mentre il Piano non accenna a figure intermedie. Siamo rimasti ancora alle figure strumentali e si prevede solo il docente mentor. Nessun riferimento ad uno staff di presidenza o ad altri ruoli funzionali al sistema. Mi pare un grande appiattimento verso il basso: un unico “stato giuridico” con piccole differenziazioni. Per riconoscere il valore di tanti bravi insegnanti e far recuperare ai docenti il prestigio sociale di un ruolo così importante non bastano 60 euro, serve invece una vera carriera, serve riconoscere ruoli organizzativi: questo sarebbe un vero cambiamento.

Si vuole premiare il merito, dicendo stop ai meccanismi basati sull’anzianità. Non le pare ora?
Ad oggi l’unico progetto volto a premiare gli insegnanti migliori è Valorizza dell’ultimo governo Berlusconi. Come sempre noi apriamo la strada: speriamo che ora si continui davvero in questa direzione. Molti professionisti vengono valutati, anche i medici, perché non dovrebbero esserlo i docenti? Io stessa, quando insegnavo latino e greco, avrei voluto essere valutata per il lavoro svolto, per l’impegno speso per i miei ragazzi, per le capacità didattiche.

Cosa pensa dell’autonomia scolastica così come viene prospettata nel documento?
Autonomia significa un sistema adeguato di gestione, valutazione, governance, responsabilità e trasparenza, ma mi sembra un’autonomia che mai decollerà perché manca la chiave centrale: l’autonomia finanziaria. Personalmente ritengo che più che inseguire l’autonomia dovremmo cambiare prospettiva e parlare di costi standard. Parlare di costi standard significa vera responsabilità, obiettivi e progetti di miglioramenti per la qualità della formazione degli studenti,  una struttura organizzativa funzionale alla priorità educativa della scuola e soprattutto trasparenza.

Può spiegarci in sintesi come funziona questo sistema e come fare per introdurlo?
Abbiamo già dedicato due convegni al “costo standard” e a metà novembre ci sarà un altro momento di confronto con il mondo della scuola e le istituzioni in cui sarà possibile entrare nei dettagli e trarre spunto anche dal sistema universitario dove il costo standard è stato introdotto con l’ultima riforma. In sintesi posso dire che il costo standard definisce quali sono le risorse economiche ed umane impiegate annualmente per la formazione dei nostri studenti, liberando risorse da reinvestire nella formazione. Parlare di costo standard significa pensare a livelli predefiniti di efficienza in una logica di programmazione e controllo. In una parola si responsabilizzano le scuole, si definiscono livelli di prestazione e obiettivi strategici… sarebbe questa la vera rivoluzione nel nel nostro sistema nazionale d’istruzione.

Da più parti si è rilevato che nel Piano Renzi la parità  ha un ruolo marginale. È così?

Si parla di scuola in generale senza mai specificare se statale o paritaria, tranne nel caso della valutazione, che vale per tutti. Ora vorrei sperare che il governo Renzi quando dice e scrive “scuola” intenda la scuola pubblica tutta, ossia quella statale e quella paritaria. E mi auguro che ancora una volta non prevalgano i pregiudizi ideologici e culturali che hanno caratterizzato questi anni fino al Referendum di Bologna. Noi di certo inchioderemo Renzi ad un fatto: “scuola” è tutta, statale e paritaria. E poi al fatto che la libertà di scelta educativa delle famiglie ha pari dignità della libertà di insegnamento. Non dimentichiamoci che nella nostra Costituzione la famiglia ha la priorità rispetto allo Stato nelle scelte educative per i propri figli…