Attualmente la nostra scuola prepara troppo spesso all’infelicità, un’infelicità che la gran parte dei ragazzi incontrerà per avere scelto studi che in molti casi li illudono o non li preparano adeguatamente per quello che vorrebbero fare nel loro futuro. Fanno testo le centinaia di migliaia di giovani adulti disoccupati in possesso di lauree inutili, finalizzate solo a regalare un inutile titolo di dottore o a mantenere cadreghe baronali dovute a poteri politici locali e nient’altro. Così, dopo aver inutilmente cercato di collocarsi in attività corrispondenti al loro percorso universitario, molti laureati (quando sono fortunati) sono costretti a riciclarsi in lavori, anche al nero, che generalmente richiedono scarsa professionalità (baristi, telefonisti nei call center, camerieri in pizzerie, distributori di pubblicità…) oppure a farsi mantenere dai genitori.



Qualche speranza di lasciarsi alle spalle il nostro anacronistico sistema di istruzione tecnica e professionale sembra venire dal programma renziano per la scuola: potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro e dell’apprendistato, collegamento con l’artigianato, “imprese formative sperimentali”, cioè attività economiche legate al curricolo, che coinvolgano direttamente gli studenti e i cui eventuali utili saranno investiti nelle attività didattiche. 



Dobbiamo recuperare decenni in cui soprattutto le cosiddette forze progressiste del nostro povero Paese hanno sparso a piene mani la convinzione che il riscatto sociale e culturale delle “masse” si supera ingozzando i figli degli operai di cultura liceale e distruggendo invece quella professionale. Fino agli anni settanta quest’ultima aveva fatto invidia a tutta l’Europa, e senza di essa il miracolo economico italiano ce lo saremmo scordato. Una delle conseguenze di questa scellerata ideologia (si potrà essere bravi cittadini solo se tutti studiamo le stesse materie) ha permesso che negli istituti professionali si fosse costretti a studiare fino a quattordici discipline, utili solo a garantire un impiego almeno ad una parte dei milioni di laureati senza prospettive. Così i nostri ragazzi, con poche ore di laboratori e molte di discipline teoriche, sono usciti dai percorsi professionali spesso privi delle competenze necessarie per poterle spendere al meglio nel mondo del lavoro. 



Infine una beffa ulteriore: quella di non incontrare quasi più, con tanta dispersione di materie, quel maestro di vita che molti di noi hanno avuto la fortuna d’incontrare a scuola, ma anche nelle botteghe dove si andava a imparare un mestiere. Un maestro che era riconosciuto come tale  innanzitutto perché aveva un progetto di vita da trasmettere ai suoi allievi, qualcosa che, anche al di fuori delle aule scolastiche, da tempo non riusciamo quasi più a dare ai nostri giovani. Anche per questo le botteghe artigiane sono sempre meno e i mestieri di un tempo stanno scomparendo, come i sogni e gli entusiasmi  dei ragazzi che si dissolvono nell’incontro con una scuola non adatta a loro.