La notizia della sentenza del Tar del Lazio relativa allo stop della sperimentazione di percorsi liceali di 4 anni ha occupato solo per poche ore le rassegne stampa. Nel frattempo il ministero ha già annunciato il ricorso al Consiglio di Stato, per porre rimedio a questo pasticcio, visto che alcune scuole si sono già avviate su questo sentiero.



Ma la cosa che credo debba far riflettere tutti, anche sulla scorta dell’ultimo intervento del presidente Napolitano contro i corporativismi, è stata la reazione di parte sindacale. Soprattutto per la motivazione: ha mascherato il proprio conservatorismo con problemi di natura didattica.

Difficile immaginare qualsiasi idea riformista, è stato il pensiero di tanta parte del mondo della “scuola reale”, se da un lato continua l’imperio della burocrazia amministrativa, e dall’altro quel “pensare contro” che è la legge base del mondo conservatore dei sindacati, sempre meno rappresentativi e lontani da ogni pensiero positivo.



Vista la situazione, proviamo a proporre una provocazione, funzionale per favorire alcuni tentativi di rivisitazione della nostra scuola superiore.

E se abolissimo i Tar, il Consiglio di Stato, ma anche il diritto di veto delle varie sigle sindacali? Solo per verificare assieme, in una sorta di corsia preferenziale, se alcune ipotesi di sperimentazione possono rappresentare degli utili strumenti per interventi più generali? Una sospensione preventiva, una zona franca, per consentire alle sperimentazioni di verificare o meno la bontà o meno dell’ipotesi riformatrice.

Per quanto riguarda il mondo sindacale, le critiche sono oramai così diffuse, anzitutto all’interno delle scuole, che una sospensione non farebbe che bene, nei termini di un ripensamento non più corporativo del loro ruolo istituzionale e sociale.



Mentre è giusto spendere una parola particolare per le resistenze conservatrici della burocrazia amministrativa. In una “società aperta” il diritto amministrativo è certamente necessario, ma non sufficiente,per il governo della complessità sociale.

In questo momento sono in particolare le scuole ad essere nel mirino di alcuni Tar, i quali, sollecitati da genitori non disposti a prendere atto delle difficoltà scolastiche dei propri figli, non si limitano a verificare la legittimità e la congruità degli atti, ma pretendono di entrare nel merito delle decisioni dei consigli di classe.

Già Romano Prodi, qualche tempo fa, si era espresso per l’abolizione.

In tempi di lotta alla burocrazia, non credo sia fuori luogo ritornare a questo problema aperto. Ben oltre la recente abolizione di alcune sedi distaccate e le polemiche sui privilegi e conflitti di interesse dei consiglieri di Stato.

Mentre negli altri Paesi, ricordava Prodi, queste istituzioni hanno limiti precisi, da noi hanno uno spazio di potere smisurato. Ricorrere al Tar è diventato da noi quasi un fatto normale. Ovviamente non per i meno abbienti. Per una bocciatura, dicevo, ma anche per un concorso pubblico, per un appalto, ecc.. Senza limiti. 

E le conseguenze? Poco importano: ricorsi usati “per scopi che il buon senso ritiene del tutto estranei a un’efficace difesa dei diritti”.

Ricorrere al Tar oggi è diventato lo strumento più efficace contro l’unica vera risorsa che ci può spingere oltre il burocratismo centralistico: l’etica della responsabilità. L’unico antidoto al dominante immobilismo del nostro sistema Paese. Oltre destra e sinistra, oltre i leader che, velocemente, cavalcano i palcoscenici nazionali e locali.

La contromisura? Non occorre essere dei giuristi: abolire la giustizia amministrativa ed accorparla alla giustizia ordinaria. Ovviamente riformata e semplificata, per garantire l’effettiva certezza del diritto.