Si dice che ministero dell’Istruzione sia il secondo datore di lavoro al mondo, dopo il Pentagono che è chiamato ad amministrare l’esercito degli Stati Uniti d’America. Oggi, in Italia, sono circa un milione i lavoratori della scuola statale. Dei 760mila docenti, ben 100mila sono assunti ogni anno a tempo determinato, a cui vanno poi aggiunti i precari delle graduatorie di istituto, utilizzati per supplenze brevi.



Di fronte a questi numeri, il superamento del precariato è un’esigenza sia degli studenti per la continuità didattica, sia degli insegnanti per il necessario rispetto della loro dignità professionale. 

Perché allora fino ad oggi ciò non è avvenuto? Se ogni anno vengono assunti docenti con contratto a tempo determinato, non è certo a causa della scarsità delle risorse assegnate al comparto scuola, considerato che il fenomeno del precariato esiste da sempre. 



Allora, quali sono le vere cause del fenomeno e quali le condizioni essenziali per scrivere definitivamente la parola fine all’esistenza del precariato nella scuola?

Se non si risponde a queste domande, il rischio è che gli annunci escano dall’ambito del possibile per approdare a quello delle illusioni. Non si può pensare di poter risolvere il problema del precariato se non si esplicitano le ragioni del suo insorgere e della complessa articolazione del sistema di assunzione nella scuola, nel corso di un decennio stratificatosi su abilitazioni, concorsi, graduatorie, punteggi e sentenze della giustizia amministrativa e della Corte costituzionale.



In via preliminare, ai fini del nostro ragionamento, escludiamo dal novero delle cause del precariato il risparmio che lo Stato presume di ottenere dal sottoscrivere contratti a tempo determinato anziché a tempo indeterminato, a causa della “ricostruzione di carriere” che recupera come scatti di anzianità anche tutti gli anni lavorati con supplenze annuali. Infatti, per il resto, il costo totale a carico della finanza pubblica sarebbe sostanzialmente invariato, dovendosi aggiungere il costo dell’indennità di disoccupazione nei mesi estivi al costo degli stipendi fino al termine delle lezioni. 

Le cause del precariato – Il precariato ha fondamentalmente due cause, una storica ed una strutturale.

La causa storica è legata un processo di abilitazione privo di programmazione, che cioè non tiene conto del fabbisogno di docenti, per classi di concorso ed esigenze delle singole scuole. Ciò ha comportato una sproporzione, soprattutto in alcune classi di concorso, tra persone abilitate – e quindi con un’aspettativa di accesso alla professione – ed il numero di posti effettivamente disponibili.

La seconda causa del precariato è legata all’oggettiva utilità per il sistema burocratico amministrativo di avere un esercito di precari di riserva – per parafrasare Marx – da assumere nel caso di bisogno, ma senza alcun vincolo di mantenimento nel tempo.

Infatti, è da considerare che una volta assunto a tempo indeterminato, l’insegnante non si licenzia, né se diminuiscono gli studenti, né se viene meno la sua cattedra o addirittura la materia che insegna. Il fenomeno dei docenti di ruolo senza cattedra è ben noto e non può non essere preso in considerazione quando si intende stabilizzare 100mila precari.

Il ministero dell’Istruzione è storicamente ben attento a non assumere personale di ruolo che potrebbe rischiare, nel giro di qualche anno, di andare in esubero. 

Infatti, a causa della denatalità, da qualche anno soprattutto il Sud Italia sta perdendo studenti, mentre il Nord li aumenta grazie alla popolazione immigrata. Oggi queste fluttuazioni vengono gestite con più facilità attraverso il precariato ed è soprattutto in questo contesto che si generano i trasferimenti di insegnanti precari dove sono maggiori le chances di essere chiamati per una supplenza o addirittura per l’assunzione in ruolo.

Stante questa situazione, sarà così facile per il governo Renzi eliminare il precariato?

Non basta assumere 100mila docenti − Sia chiaro che la soluzione non è certo assumere 100mila docenti per aumentare l’offerta formativa, come sono abituati alcuni a pensare per riflesso condizionato quando sentono parlare di “organico funzionale” e come in qualche modo potrebbe essere consentito dalla legge n. 35 del 2012.

Ciò perché l’obiettivo deve essere risolvere il problema del precariato senza incrementare l’attuale rapporto studenti/docenti che solo oggi, con successivi interventi, ha sostanzialmente raggiunto i livelli Ue per la scuola secondaria, mentre resta leggermente più alto per la scuola primaria.

D’altra parte, non si tratta nemmeno semplicemente di assumere 100mila docenti in tre anni. Già ora i piani di assunzione sono più o meno di questa portata, ma ciò rappresenta solo il fisiologico turn over del personale che raggiunge la pensione e non risolverebbe per nulla il problema precariato: da una parte infatti l’assunzione di 100mila docenti inciderebbe solo per la metà sui precari storici − visto che solo il 50% delle assunzioni è riservato ai precari delle graduatorie a esaurimento. Dall’altra parte si genererebbe immediatamente nuovo precariato attraverso l’utilizzo dei nuovi abilitati per le supplenze annuali.

Superare il precariato è ben altro; significa cambiare profondamente le modalità di  programmare le abilitazioni e le assunzioni, nonché le modalità di gestire le supplenze, brevi e annuali. 

Programmare le abilitazioni e le assunzioni − Innanzitutto occorre una programmazione delle abilitazioni che tenga conto del fabbisogno complessivo del sistema.

È comprensibile che un numero chiuso alle abilitazioni potrebbe avere come contraltare quello di frustrare le ambizioni di molti giovani che vorrebbero insegnare, ma, a ben vedere, è l’unico modo per evitare di generare false aspettative, soprattutto in alcune classi di concorso. 

La programmazione delle abilitazioni consentirebbe, quindi, di bilanciare domanda e offerta di lavoro.

Affinché possa essere raggiunta questa condizione di equilibrio nel mercato del lavoro, è necessario, però, stabilire un punto fermo e mettere fine alle soluzioni transitorie, alle deroghe, alle sanatorie, agli stop&go, per riattivare una forma di abilitazione ordinaria e continua. Lo strumento normativo esiste già: è il regolamento per la formazione iniziale degli insegnanti approvato con DM 249 del 2010, da cui originarono i Tfa. Si tratta di portarlo a regime per farlo diventare lo strumento ordinario. 

Alla programmazione delle abilitazioni deve seguire poi una politica ordinaria, programmata, pluriennale di assunzioni.

In tal senso, occorre, soprattutto distinguere e separare l’abilitazione dall’assunzione. Non si dovrebbero più vedere concorsi, come quello del 2012 voluto dal ministro Profumo, aperti ai non abilitati. Il concorso non deve più valere come abilitazione, la quale deve seguire la disciplina e le modalità del DM 249/2010, anzi: concepito quale strumento finalizzato unicamente all’assunzione, la partecipazione allo stesso dovrebbe essere riservata alle persone già abilitate.

Gestire diversamente le supplenze − In secondo luogo devono essere superate le cause strutturali, per le quali si utilizza il personale precario per gestire le fluttuazioni di fabbisogno di organico.

Questo è lo scoglio più complesso da superare, perché occorre in ogni caso evitare di assumere personale che rischia di andare in esubero nel giro di pochi anni.

Il primo elemento da eliminare è la distinzione, astratta e formale, tra organico di diritto ed organico di fatto. Stante il principio generale per cui alle scuole viene assegnato il personale sulla base del numero di classi da attivare – che dipendono dal numero di studenti − e del tempo scuola dell’ordinamento scolastico, l’organico di diritto viene assegnato sulla base delle iscrizioni, che avvengono di norma a gennaio, mentre l’organico di fatto viene assegnato sulla base dei cambiamenti nelle iscrizioni che avvengono da gennaio a luglio – e spesso fino a settembre. È evidente infatti che in tale periodo vi sono cambiamenti rilevanti nella previsione delle classi, che riguardano in particolare i casi di nuove iscrizioni, di studenti ripetenti, o che si trasferiscono da un istituto all’altro. La differenza tra organico di diritto e di fatto vale qualche decina di migliaia di cattedre ogni anno. Queste cattedre non vengono mai considerate per le assunzioni in ruolo (queste infatti sono calcolate solo sui posti in organico di diritto) ma solo per le supplenze annuali affidate ai precari delle graduatorie a esaurimento.

Il superamento di questa distinzione e la messa in disponibilità per le assunzioni in ruolo delle cattedre risultanti, potrebbe rappresentare l’uovo di Colombo per eliminare il precariato storico.

In secondo luogo si deve affrontare la questione degli spezzoni di cattedra, cioè di quei posti inferiori a 18 ore di insegnamento. Attualmente  gli spezzoni superiori alle 6 ore sono attribuiti sulla base delle graduatorie a esaurimento dagli uffici scolastici, mentre gli spezzoni inferiori a 6 ore vengono attributi direttamente dal dirigente scolastico o ai docenti della propria scuola con aumento di ore di lavoro, oppure attingendo dalle graduatorie di istituto.

Anche in questo caso si potrebbe procedere ad assunzione in ruolo, naturalmente non per una singola scuola, ma da parte di una rete di scuole, con utilizzo congiunto dei docenti.

Infine, per quanto riguarda le supplenze brevi, che oggi costano circa 700 milioni di euro l’anno e vengono gestite direttamente dal dirigente scolastico attraverso l’accesso alle graduatorie di istituto, è ipotizzabile pensare ad un’assunzione, sempre come rete di scuole, di un organico funzionale “a disposizione” per esigenze organizzative della scuola, eventualmente affiancato dall’istituzione di un fondo a disposizione della scuola per pagare gli “straordinari” a docenti di ruolo della scuola, che si fanno carico di brevi periodi di assenza dei colleghi.

Insomma, come avviene in una qualsiasi azienda, le assenze di breve periodo dei lavoratori vengono gestite attraverso forme di flessibilità organizzativa. Certo, ciò difficilmente potrà eliminare del tutto la sostituzione di docente con assunzioni temporanee, ma lo renderebbe comunque un fenomeno marginale.

Organico e flessibilità di gestione − Sono queste tre soluzioni che possono eliminare definitivamente il precariato. Come garantire, tuttavia, il mantenimento della necessaria flessibilità del sistema? Se non si può che condividere l’obiettivo di eliminare il precariato, tuttavia bisogna considerare che il sistema ha bisogno di gestire riduzioni di posti o di cattedre. A tutt’oggi questa flessibilità è stata resa possibile utilizzando il precariato. 

L’assunzione dei precari a tempo indeterminato deve allora trovare una flessibilità interna all’organico di ruolo, innanzitutto con una gestione flessibile del personale da parte di reti di scuole, cosa che comporta anche una revisione delle classi di concorso, oggi eccessivamente parcellizzate e ancora non adeguate alle nuove discipline introdotte dalla riforma Gelmini (ancora oggi le regole delle classi di concorso risalgono al 1998). 

In secondo luogo attraverso la possibilità di gestire gli esuberi, consentendo all’amministrazione il diritto alla mobilità d’ufficio dei docenti nel caso di riduzione di studenti.

Certo, interventi di questa portata richiedono una base tecnica solida ed una volontà politica forte, che ad oggi non viene riscontrata, soprattutto se le riforme annunciate si derubricano prima a linee guida, poi addirittura a meri spunti, idee per il confronto, pubblicate online senza nemmeno un passaggio formale di approvazione in Consiglio dei ministri.