Caro direttore,
il Corriere della Sera di sabato 27 settembre annunciava in prima pagina, e riprendeva poi nelle pagine interne, una delle tante nuove pensate di cui viene fatta oggetto la scuola italiana da parte del premuroso esecutivo in carica: via i commissari esterni dall’esame di maturità, grande risparmio.
Non è una novità, lo sappiamo, ci siamo già passati nel quinquennio Moratti. Personalmente non ne ho un buon ricordo, né ho l’impressione che quegli anni rifulgano per una particolare riqualificazione della scuola superiore, ma questo può essere un parere solo personale; in ogni caso, non su vantaggi e svantaggi in qualsivoglia modo collegati alla qualità della scuola si attirava l’attenzione del lettore, bensì sull’altra, ben più concreta questione: il risparmio. Perché, se la retribuzione di un commissario interno è di quattrocento euro, quella di un esterno è di novecento. Et voilà, il gioco è fatto: in questi tempi di vacche magrissime chi potrebbe decentemente eccepire qualcosa? Che peso può avere la considerazione di qualche vantaggio qualitativo, oltretutto discusso, di fronte all’argomento principe? A insistere, si può solo apparire fuori dal mondo, persi nell’iperuranio dei falsi problemi, o egoisticamente corporativi (tanto per ricorrere al lessico di moda).
Ma poi, sarà vero? Se ne sentono tante e poi tante, si verifica nei fatti così poco e dopo tanto tempo… è ozioso occuparsene. Infatti, non è tanto la ventilata restaurazione delle commissioni tutte interne a colpire (ed irritare, un poco almeno) in questo caso, quanto piuttosto la straordinaria insipienza di chi ha confezionato la “velina” (dai paraggi del governo qualcosa sarà pur venuto!) così come di chi l’ha rielaborata. Quale risparmio, infatti? Chiunque abbia un’idea anche vaga del funzionamento dell’esame di stato sa benissimo che i famosi quattrocento euro del commissario interno corrispondono all’esame di una classe (la sua), mentre i novecento (prendiamo per buone le cifre) di un esterno risultano dall’averne esaminate due.