Nemmeno un giorno dura il viaggio di Leon. Nemmeno un giorno è anche il titolo del bel libro di Antonio Ferrara e Guido Sgardoli in libreria per Il Castoro, per ragazzi dai 12 anni in su. Ferrara e Sgardoli, due grandi autori italiani della letteratura per giovani ed entrambi vincitori in passato del Premio Andersen, hanno unito le loro penne per dar vita a questa breve, ma intensa storia. Chi ha visto il film Locke di Steven Knight non può evitare un accostamento. In entrambi i casi la storia si svolge in macchina con un unico protagonista che conosciamo quasi in unità di tempo. Le voci degli altri personaggi, nel film ascoltate tramite le chiamate sul cellulare e nel libro lette in capitoli di passaggio dove raccogliamo le impressioni di chi incrocia Leon sulla strada, completano la narrazione. Il fantasma del padre in Locke, il cane randagio Vitòr nel caso di Leon offrono lo spunto per qualche breve dialogo in macchina.
In entrambi i casi un viaggio verso gli affetti.
In entrambi i casi una narrazione coraggiosa, come una scommessa incerta, priva di quei fuochi d’artificio, effetti speciali e strizzatine d’occhio cui certa cinematografia e letteratura ci hanno ormai abituato.
Leon è minorenne e proviene da un paese dell’est. Decide di scappare in auto per oltrepassare un confine lontano alla ricerca di se stesso e del suo passato. Non ha ancora la patente, ma ha imparato a guidare i kart e se la cava bene lo stesso con l’Audi di Sergio. Sergio è il padre adottivo che assieme a sua moglie Anna lo ha accolto in una nuova famiglia di un nuovo paese dove non sempre è facile sentirsi a casa, e soprattutto sentirsi accolti.
Dalle quattro del pomeriggio alle otto del mattino, in sequenze scandite ciascuna da una canzone diversa che va sul CD dell’automobile, il viaggio di Leon si infila dentro una notte che sembra una metafora dei suoi pensieri. Le certezze che alla luce del giorno e vicino a casa sembravano incrollabili con il buio si fanno via via più labili, fino a un totale e felice ribaltamento di prospettiva.
Nemmeno un giorno pone bene la questione delle radici, di Leon come di ogni ragazzo adottato. Un mito, quello delle radici, in cui molti rischiano di restare invischiati perdendo di vista il reale, l’oggi e il qui più soddisfacenti e favorevoli di quanto si creda, e soprattutto di quanto si fantastichi rispetto a un altrove idealizzato.
Chi è il padre di Leon, Jan lontano nel suo paese o Sergio qui presente? Qual è la sua famiglia, Anna e Sergio o Ewa, la sorella oltre confine?
Leon ha bisogno di partire per riuscire a rispondere queste domande. Stando fermo forse non ce l’avrebbe fatta a raggiungere la stessa conclusione.
“E alla fine penso che forse padre non è chi ti ha fatto nascere, no. Forse padre è chi ti veste, ti dà da mangiare, ti insegna a fare le cose, ti sta accanto. Sempre e comunque“.
Ne La luna e i falò, Cesare Pavese scriveva “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via“. Ecco, Leon, che si prende il gusto di andarsene, scopre proprio che il paese che ci vuole è quello in cui già è, non un altro.
Il paese dove è stato scelto e curato.
Il paese dove mamma e papà sono i nomi giusti per chi l’ha fatto crescere, per chi un giorno gli ha detto quello che è nostro è anche tuo e da allora non si è più tirato indietro.