Cè un termine del documento di Renzi sulla scuola (presentato ieri: La buona scuola. Facciamo crescere il paese) che non sta bene a Ezio Delfino, presidente di Disal. Lo si trova già nella premessa: “meccanismo”. Un’impostazione, che, certamente senza volerlo, riflette però in modo emblematico alcune storture del documento. Che – spiega Delfino in un primo commento a caldo, raccolto dal sussidiario – “appare ispirato a logiche occupazionali, di incremento della spesa pubblica, e perfino a logiche da diritti acquisiti”. Senza contare il problema, non ultimo, della copertura finanziaria.



Professore, come giudica il Rapporto sulla scuola presentato oggi dal premier Renzi?

C’è un assunto nella premessa del documento La buona scuola. Facciamo crescere il Paese che, nella sua formulazione, preoccupa perché è espressione dell’immagine di scuola che lo ispira: “…dare al Paese una Buona Scuola significa dotarlo di un meccanismo permanente di innovazione, sviluppo, e qualità della democrazia. Un meccanismo che si alimenta con l’energia di nuove generazioni di cittadini, istruiti e pronti a rifare l’Italia, cambiare l’Europa, affrontare il mondo”.  Un’assunto che identifica la scuola con un meccanismo, una catena di montaggio, in grado, se ben progettata, oliata e funzionante, di garantire direttamente sviluppo, cittadinanza, ricostruzione.



Che cosa la preoccupa?

L’assunto che ho indicatoesprime una logica funzionalista che evita di metter a fuoco la domanda fondamentale in questo momento di grave crisi: a cosa serve la scuola? Ovvero quale concezione urge servire in questo momento storico e quindi quali strumenti e soluzioni mettere in campo e garantire perché il contesto di ciascuna scuola sia messo in grado di realizzare il suo fine?

Qual è secondo lei lo scopo della scuola?

La scuola oggi non può più avere come scopo la semplice trasmissione di saperi e di competenze, la realizzazione efficiente di programmi e procedure, ma è chiamata a diventare sempre più luogo di proposta fatta da adulti che, nel rapporto quotidiano che realizzano con i propri studenti attraverso le materie insegnate in un contesto formativo, ne sfidino il cuore e la ragione, impegnandoli in quella verifica personale e significativa della realtà affinché diventi cultura. Adulti preparati a questa sfida. E luoghi strumentati a questa possibilità.

Verrebbe da dire che se l’assunto del governo è far funzionare un meccanismo, allora le soluzioni proposte non possono non attingere, seppur ispirate da buone intenzioni, a logiche estranee ad una tale concezione educativa

Infatti. Il documento, in taluni passaggi, appare ispirato a logiche occupazionali: “lanciamo un piano straordinario per assumere a settembre 2015 quasi 150mila docenti: tutti i precari storici e tutti i vincitori e gli idonei dell’ultimo concorso”; a logiche di incremento della spesa pubblica – con uno sforzo economico che pare non tener conto dell’attuale grave situazione del  debito pubblico – ed a logiche da diritti acquisiti

Cosa ne pensa del fatto che il Governo per esprimere una proposta sulla scuola proponga delle linee guida da sottoporre alla consultazione?

Il modello di un Rapporto, ovvero di un libro bianco da sottoporre alla consultazione del mondo della scuola e non solo,  sperimentato già da altri governi (gli Stati generali di morattiana memoria, ad esempio, ma non solo) esprime giudizi, prospettive, proposte la cui applicazione rimanda, comunque, per gli investimenti alla prossima legge finanziaria e per l’attuazione a (probabili) decreti applicativi prevedibili non prima del 2015. I tempi di interventi urgenti potrebbero allungarsi ancora un’altra volta….

 

In positivo?

Il Rapporto sulla scuola presentato dal Governo individua alcuni degli aspetti decisivi per un rilancio del sistema scuola: l’instabilità del lavoro dei docenti a tempo determinato e la valorizzazione della figura del docente nella scuola che cambia, il rapporto tra scuola e lavoro, oggi non più demandabile, il governo delle istituzioni scolastiche, con la valorizzazione del ruolo del dirigente scolastico, e la rendicontazione pubblica del servizio offerto da ciascuna scuola.

 

D’accordo su tutto?

Occorrerà leggere attentamente le oltre 130 pagine del Rapporto nel quale i temi trattati sono sicuramente decisivi, anche se restano molte domande aperte e alcune perplessità.

 

Sul modello di reclutamento dei precari, ad esempio?

Com’è possibile assumere l’impegno di 150mila assunzioni senza implicare il tema delle risorse finanziarie? E com’è possibile parlare di organico funzionale delle scuole, che comporta l’aumento del 10% di personale per far fronte anche al problema delle supplenze, cioè parlare di un aumento della spesa, proprio in un periodo in cui sentiamo parlare continuamente della necessità di provvedere a tagli e risparmi di spesa pubblica?

 

Il documento rilancia il rapporto tra scuola e lavoro…

Questa è una novità interessante, ma come è possibile, però, parlare di adesione al modello tedesco di alternanza lavoro se quello prevede la doppia frequenza, a partire dai 14 anni, della scuola e del lavoro in azienda e questa misura nel Rapporto di Renzi non è neanche prevista? E poi come si può parlare di “aumento di ore in azienda” per gli studenti degli istituti professionali e tecnici ( con un passaggio da “100 a 200 ore annuali” di stage in azienda) che risultano molto poche al confronto dei modelli tedeschi e francesi a cui si dice volersi ispirare?

 

Un capitolo del Rapporto sulla scuola è dedicato ai presidi.

Mi lascia perplessa la conferma di formare i futuri dirigenti scolastici che supereranno le prove di selezione del prossimo concorso statale attraverso la frequenza della nuova Scuola della pubblica amministrazione, quando invece il modello di dirigenza necessaria oggi per una scuola che si vorrebbe “buona” non può che richiedere la formazione, anche, di competenze relazionali, pedagogiche e direttive da formare. E di un tirocinio sul campo prima della conferma in ruolo.

 

Prevede resistenze nel mondo della scuola a discutere sul Rapporto di Renzi?

Tutto questo è solo un esempio. Per ora è solo sulla carta. Adesso dobbiamo fare in modo che diventi reale in tutto il Paese”: così viene chiarita la natura del Rapporto La buona scuola nell’ultima sua pagina. Noi siamo disponibili a collaborare e costruire,  purché il Rapporto non resti un  libro dei sogni e si vedano in fretta le gambe con le quali camminare e le mani con cui operare. Con responsabilità e tempismo. 

 

Quali dovranno essere i criteri ispiratori da seguire perché il cantiere aperto realizzi una scuola veramente “buona”? 

Che prevalga in tutti − politici, uomini e donne di scuola ed operatori − nel metter mano all’impresa cui chiama il Governo Renzi, la consapevolezza che tutto deve essere pensato e realizzato affinché si realizzi l‘io di ciascun giovane, anche a scuola. Quella consapevolezza che, parlando di sé, ha testimoniato papa Francesco nell’incontro con il mondo della scuola il 10 maggio a Roma:  “Sappiamo bene che ci sono problemi e cose che non vanno, lo sappiamo. Ma voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola. E dico ‘noi’ perché io amo la scuola, io l’ho amata da alunno, da studente e da insegnante… Ho sentito qui che non si cresce da soli e che è sempre uno sguardo che ti aiuta a crescere. E ho l’immagine del mio primo insegnante, quella maestra, che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola. Non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la scuola”.