Caro direttore,
ho letto il bell’editoriale di Luca Doninelli su quanto accaduto in Francia. Soprattutto ho trovato inquietante che nella trama dell’ultimo romanzo di Houellebecq, Sottomissione, il partito islamico moderato riservi per sé il ministero dell’educazione. Su questa base le propongo alcune riflessioni personali.
1. Nel mio lavoro constato quello che scrive Doninelli e cioè che al nulla in cui siamo immersi corrisponde nei giovani, come atteggiamento verso la realtà, un desiderio sempre più forte di abdicare alla propria libertà: non si vuol più vivere sentendo l’esistenza come promessa, cammino, viaggio. Tra i giovani più vivi ormai si va consumando l’idea che la vita abbia senso solo nei colpi di testa (bere, discoteca, divertissement liquido). Tempo fa, come ogni insegnante che si rispetti, tra le frasi fatte o pillole di saggezza che sempre dispensavo, ne avevo una che era la seguente e che oggi mi guardo bene dal citare: “Qui vit sans folie n’est pas si sage qu’il croit” (chi vive senza follia non così saggio come crede). Giustificavo con questo non i colpi di testa, ma il fatto che la vita va vissuta e va vissuta intensamente. Adesso neanche più quel bravo cantautore ancorché (un po’) cattivo maestro che è Vasco Rossi canta più “vorrei una vita spericolata”. Anche lui è rientrato. Da buon incendiario a immancabile pompiere… del nulla!
2. D’altra parte però constato che la condizione giovanile dipende anche dal fatto che nessuno fa proposte o sono in pochi a comprendere che — nichilismo o no — è urgente una presenza che sia propositiva. Una volta si diceva, a proposito dell’ideologia, che era “una risposta ad una domanda che non si tollera rimanga in sospeso”. Ma oggi i giovani cercano con urgenza soprattutto un incontro che sia significativo per la loro vita, un incontro che renda liberi, sennò per loro va bene “qualsiasi” esperienza purché “faccia star bene”.
3. La scuola non propone nulla, perché ha abdicato ad essere luogo di libertà, cioè di giudizio sulla società ed è ridotta al rango di topaia della cultura o di una sorta di mummia animata. Non la si vive qui ed ora, ma si è sempre in attesa che ogni mattinata scolastica finisca perché si possa respirare. Non sto dicendo che i ragazzi rifuggano da fatica e sudore; dico però che non c’è una proposta di senso per fare fatica e versare sudore e — perché no — anche lacrime. Aleksandr Filonenko lo dice meglio di me nel suo libro L’oceano del mistero: “si può studiare senza essere obbligati a spezzare la vita come in due parti, come se la vita di adesso non fosse che una lunga preparazione a una vita futura?”
4. La mentalità dominante ha ormai finito di inoculare nei cervelli dei nostri ragazzi il solo desiderio (molto freudiano, e sa di morte) di “non avere mai problemi”, che è un principio opposto alla vita, senza minimamente sospettare che i problemi possano portare a nuove conquiste. Del resto è naturale che sia così, se manca l’idea della vita come promessa. Uno stuolo sterminato di famiglie, con a fianco le solite istituzioni (dall’asilo alle elementari e via a salire, fino alle direttive ministeriali), va predicando che precipuo compito dei docenti è preoccuparsi che i giovani stiano bene a scuola.
Non solo dunque i ragazzi si sentono dire che bisogna aspettare a vivere, che si dovrà arrivare a vivere un “domani” perché ora “tu devi studiare”, ma bisogna anche farli stare bene a scuola, farli sentire a proprio agio. Si può commettere un tradimento più grande? Non ci si rende conto che il ben-essere è altra cosa dal “benestare”. Baglioni cantava “La vita è adesso” e non si trattava del carpe diem, e anche Venditti cantava quella struggente “Buona Domenica” evocando l’amarezza della “sera del dì di festa”. La situazione però è peggiorata, la mistificazione si è accresciuta e non per la tecnologia, i cellulari, gli iPod e gli iPhone, ma per l’assenza di presenze adulte. La nostra, la mia.
I giovani ci richiamano al fatto che si vive ora, che ogni istante di vita è unico ed è irripetibile e che se esiste la voglia di vivere, questa consiste nel veder crescere il desiderio del “qui e ora”. Tutto il resto è la solita manfrina utopistica, ieri del Sol dell’avvenire e oggi della pretesa che la felicità dipenda dalla soddisfazione dei diritti (connessi ad autosufficienza, autonomia, auto-derminazione, alla salute, ai diritti riproduttivi, di genere e via dicendo). Ma va da sé che la forte domanda del qui e ora su cui si attestano i giovani, anche attraverso esperienze e vie sbagliate, è da leggere come un grido di salvezza, irriducibile alla moda o a modelli culturali, ovvero alla manipolazione. Un grido che attende solo compagni di viaggio.