LIPSIA — Nel capoluogo della Sassonia c’è stata una manifestazione cui hanno partecipato circa 35mila persone per protestare contro il movimento anti-islamico Pegida (Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente), di cui si era previsto qui in Germania che avrebbe usato gli avvenimenti francesi della settimana scorsa come conferma della propria lotta. 



Tre ragazze della mia scuola, della nona classe, quindi quindicenni, hanno partecipato a questo avvenimento a Lipsia, che in tutta la Germania ha portato nelle piazze circa 100mila persone. Helene, Fanny ed Ulrike erano impressionate dal grande spirito comunitario che si è respirato nella città: nella stessa chiesa in cui si trovavano i manifestanti del 1989, quella di san Nicola, vi erano talmente tante persone che le mie scolare non hanno potuto entrarvi. Di fronte al corteo pacifico si erano raggruppate circa 5mila persone della versione-Lipsia di Pegida (Legida), che aveva poco prima manifestato a Dresda con un corteo di circa 20mila persone. 



Le mie ragazze avevano sentito ciò che era stato detto nel telegiornale della sera del primo canale tedesco, che la variante di Lipsia di Pegida è molto più aggressiva di quella di Dresda. Parole come “Deutschland, Deutschland” (Germania, Germania) o “Wir sind das Volk” (noi siamo il popolo), che è stato anche il grido pacifico dei manifestanti del 1989, erano il veicolo dell’aggressività di Legida, i cui manifestanti erano separati dal corteo “pacifico” grazie ad una interposizione notevole della polizia tedesca regionale. 

In riferimento agli avvenimenti francesi della settimana scorsa, nel dialogo tra me i miei studenti su questo tema l’espressione più usata da Helene è “non capisco”. Cosa spinge i terroristi ad uccidere con tale violenza per delle vignette (che tra l’altro escono in un giornale per così dire specialistico, specificava Franz della decima classe ieri mattina)? Un “non capisco” è anche il modo con cui reagiscono molti ragazzi all’uso tedesco degli avvenimenti francesi (le manifestazioni di Pegida): non sono capaci di identificarsi con i profughi che vengono da noi dopo aver subito tanta violenza nel loro paese di origine, ha fatto notare Fanny. Ulrike è sconvolta dalla disponibilità alla violenza di giovani come i terroristi “francesi”.



Volendone sapere di più ho chiesto al mio collega di tedesco, che stava spiegando il Faust di Goethe, se potevo per alcuni minuti parlare con i ragazzi della 11b degli avvenimenti francesi. Corinna ha rotto il ghiaccio con un semplice: “mi dispiace che in Europa ci sia spazio per una tale violenza intollerante, che noi qui in Germania conosciamo molto bene”. Lea ha ripetuto quel “non capisco”, che ho sentito più volte in bocca dei miei studenti. 

Tim ha detto che una tale violenza è “terribile ed insopportabile”. Mi ha poi però cercato dopo la lezione per dire che il modo con cui in Germania i media parlano del movimento Pegida è unilaterale: non sono tutti nazisti, neppure la maggioranza lo è. Di fatto basta leggere la loro pagina in Facebook per vedere come molti dei 18 punti del loro programma — in cui tra l’altro specificano che non sono contro l’asilo politico che è un diritto umano, ma che lo vogliono regolare con leggi coordinate a livello europeo — non riflettono per nulla una posizione di estremismo o fanatismo politico. Nella mia piccola inchiesta nella 11b, Paul ha detto infine che il fondamentalismo dei terroristi in Francia mette in una luce oscura tutto il fenomeno religioso, cosa questa molto brutta e pericolosa, perché la religione è fonte di speranza. Questa posizione non è pero tipica dell’est della Germania, in cui il fenomeno religioso viene per lo più sospettato di essere il fratello siamese della violenza.

Un approfondimento del tema ancora più intenso è accaduto nella settima ora con alcuni ragazzi che accompagnano mia moglie e me nel nostro viaggio annuale nelle Dolomiti. Dominik prende subito la parola con un argomentazione piuttosto conservativa, ma espressa in modo cauto nel tono: non sono un simpatizzante dell’islam, ma i vignettisti francesi se la sono un po’ cercata, facendo delle caricature offensive di Maometto e della religione islamica. Christoph interviene immediatamente: ma questo non legittima l’uccidere in modo barbaro, come è accaduto a Parigi. Racconta poi di un commento che ha sentito alla radio: se qualcuno dopo gli avvenimenti parigini crede ad un islam pacifico, è come se credesse all’esistenza di babbo natale. Ma è contrario a questo tipo di commenti ad effetto, come crede che sia un atto di “arroganza culturale” ciò che si è ripetuto spesso in questi giorni, e cioè che come reazione all’atto terroristico ci debba essere un’accentuazione della libertà di fare una caricatura su temi religiosi (il che è proprio quanto sta avvenendo in Francia dopo le stragi). Lui cercherebbe una via più “umile” per difendere la libertà di opinione. Questo corrisponde anche a ciò che una collega ed amica, che insegna a Parigi, mi ha raccontato l’altra sera al telefono: alcuni suoi ragazzi di religione musulmana non comprendono lo schieramento duro ed arrogante dei politici francesi a difesa dei vignettisti di Charlie Hebdo

Su questo punto dell’umiltà Dominik non era d’accordo con Christoph: non possiamo farci dettare dai terroristi ciò che possiamo dire e ciò che non possiamo. Tim (che già conosciamo) aggiunge che proprio la marcia dell’altro giorno in cui tanti politici di tutte le nazionalità, anche musulmani schierati contro il terrorismo, lo aveva impressionato molto.

Mentre era deluso dall’atteggiamento americano, che però conosce perché ha vissuto l’anno scorso nel nord degli Usa, espresso dal fatto che Obama non abbia ritenuto necessario partecipare alla marcia parigina. Ferdinand invece invita, come Christoph, ha un di più di umiltà e di amore del prossimo che manca sia nei vignettisti che nei terroristi, anche se a due diversi livelli, e si chiede se davvero è possibile separare la dimensione di critica satirica da un’offesa personale. 

Tim lo interrompe dicendo che nel sistema occidentale ci sono delle vie giuridiche precise per difendersi, se si ritiene di essere stati offesi a livello personale, come ha fatto il Vaticano a suo tempo nel caso delle vignette offensive contro Benedetto XVI. Jonathan riprende però l’argomento dell’umiltà e si chiede se i vignettisti non avrebbero dovuto identificarsi di più con il modo di pensare di una persona completamente dentro il proprio orizzonte religioso. 

Per quanto riguarda Pegida, Dominik invita ad un’interpretazione più oggettiva del fenomeno dicendo che non è possibile accusare tutti i membri del movimento di essere dei nazisti. Nel frattempo un ragazzo cerca nella rete i dati sulla manifestazione di Dresda di cui ho parlato prima e trova nel sito del MDR (Mitteldeutsche Rundfunk) una cifra di 25mila partecipanti, a fronte degli 8.700 che protestavano contro la protesta anti-islamica, e mi dà conferma dei numeri che ho attribuito più sopra alle manifestazioni di Lipsia. Questa cifra di Dresda parla chiaro, dicono Tim e Dominik: non è possibile dire che 25mila persone siano naziste. Bisogna prendere sul serio le preoccupazioni di così tante persone ed entrare in dialogo con loro. 

È stata una mattinata di dialogo intenso, interessante soprattutto per quanto emerge dalle  argomentazioni dei giovani: per esempio uno dei punti del programma di Pegida è quello della difesa dei valori giudaico-cristiani. Dominik si chiede se sia credibile per un tedesco, dopo gli avvenimenti del nazionalsocialismo, arrogarsi il diritto di parlare in forza della tradizione giudaico-cristiana. Cosa che a me sembra logico, ma forse perché prendo meno sul serio del mio allievo un modo di pensare che corrisponde più ad un “Ist-Zustand” (lo stato di ciò che è) che a quello di un “sollen“, cioè di ciò che dovrebbe essere, se si vuole tenere conto dell’identità europea.