Abbiamo da poco celebrato la grande nascita che ha cambiato il mondo, il tempo, l’umanità. Permettete che vi parli di una nascita. E’ una storia semplice, quasi banale, ma sublime, di quelle che capitano solo ad un professore di scuola che, proprio come un giardiniere, vede improvvisamente sbocciare dei fiori e non ha ancora imparato a rassegnarsi di fronte a questo miracolo.
La intitolerei così: “Storia di Claudia che ha visto le stelle”. No, non sono quelle che si usano nell’usurato modo di dire, ma le stelle vere, quelle che splendono in cielo, quelle che hanno incantato tutti i grandi della letteratura, dell’arte, della filosofia. Il cielo stellato di Kant, le stelle giottesche degli Scrovegni, le stelle di Dante (quelle che chiudono solennemente la Divina Commedia), le stelle guardando le quali il pastore errante di Leopardi lancia nel silenzio infinito della notte le più grandi domande dell’essere umano. Sì, anche Claudia, studente di quinta liceo classico, le ha viste e me l’ha raccontato.
Mi metto pesantemente a sedere alla scrivania e attacco la correzione dei compiti d’italiano nel bel mezzo delle vacanze natalizie, quelle durante le quali (com’è noto a tutti) i professori non fanno niente. Decido di cominciare con i temi la cui traccia coincide con quella di un concorso, dalla domanda impegnativa, tratta dalla Genesi: “Uomo, dove sei?”. La traccia chiede di analizzare la situazione dell’uomo contemporaneo che “vive come se non si appartenesse”. Non sono molti i ragazzi che hanno scelto di svolgere questo tema. Comincio da qui, mentre cerco di raccapezzare un po’ di determinazione e di concentrazione.
Dopo due o tre temi mi capita tra le mani quello di Claudia e rimango come folgorato. Non ho mai letto niente di tanto bello e non me l’aspettavo da lei, sempre all’ultimo banco, sempre silenziosa, a volte apparentemente un po’ distratta, una di quelle su cui un professore pretenzioso e superficiale sorvola volentieri. Veramente dire che non me l’aspettavo non è proprio esatto: dietro quella sua timidezza ho notato, captando come dei segnali nei due anni e mezzo che la conosco, qualcosa di più grande di quello che appare. Leggendo il suo tema il quadro si è fatto più chiaro.
Claudia inizia parlando dei genitori, li definisce gli “architetti di ognuno di noi” e giudica importantissimo il loro ruolo nel periodo dell’infanzia: se lavorano bene, si innalza un edificio destinato a non crollare. In caso contrario, mancano i punti di riferimento e si avanza nel buio. Ad ogni modo, anche la più attenta educazione non può evitare che ad un certo punto l’individuo si trovi ad affrontare le domande importanti, quelle grandi, quelle sul senso della vita. E’ capitato anche a lei nel periodo che definisce di “metamorfosi mentale”. Ma a lei è successo qualcosa di semplice e di straordinario allo stesso tempo.
E a questo punto le lascio, finalmente, la parola:
“Durante quel periodo instabile tra adolescenza e maturità, compiendo un gesto abitudinario come chiudere le persiane della mia finestra, ho letteralmente VISTO le stelle. Mi sono soffermata su quel cielo di inizio estate, ho preso atto della loro posizione rispetto alla luna, mi sono riflessa in una realtà diversa da me e sono riuscita in tal modo a guardare con occhi diversi, a guardarmi dall’esterno. Sono riuscita a sperimentare quel SUBLIME che ho poi ritrovato sui libri di scuola. Mi sono sentita pienamente VIVA. Ho riflettuto sulla vita che i miei genitori mi hanno passato, sull’amore senza il quale non sarei esistita. Quell’amore ‘che move il sole e l’altre stelle’ dantesco, per il quale non avevo trovato ancora una definizione adeguata. Dunque quest’episodio è stata la scintilla che ha messo in moto qualcosa in me. Da quel giorno mi sono ritrovata più volte a fare i conti con me stessa e con quel turbine di pensieri che ciascuno dovrebbe provare, per non cadere nell’indifferenza, nella superficialità, nel tedio della vita quotidiana“.
Leggendo questo passo del tema di Claudia mi sono trovato davanti all’esperienza viva di una ragazza che conosco. Le sue parole inverano quanto ho letto tante volte sull’uomo e le stelle, sui poeti e le stelle, sui musicisti e le stelle. “La notte che ho visto le stelle — cantava Claudio Chieffo — non volevo più dormire./ Volevo salire là in alto/ per vedere e per capire”. Potrebbe essere la canzone di Claudia, che attraverso il cielo stellato ha percepito un’altra realtà che le ha fatto fare un’esperienza “sublime” e che l’ha “messa in moto”, come un “turbine”. Così ha scoperto l’amore e ha scoperto la verità delle grandi parole dei poeti che ha letto a scuola, perché poteva paragonarle alla sua esperienza. E’ solo in chiave di destino, scriveva Cristina Campo, che la grande poesia è decifrabile. Ma occorre essere interessati al proprio destino. Quest’interesse in Claudia è stato risvegliato da un fatto semplice, banale, ripetuto più volte. Lei ha fatto questa esperienza che all’uomo contemporaneo sembra sempre più preclusa. Gli uomini di oggi sono così ubriachi che non hanno più sete e non sono nemmeno più capaci di guardare le stelle, come lo Zeno Cosini di Svevo, che non le guarda nemmeno di fronte all’invito del proprio padre.
Continuo a leggere il tema di Claudia, la ragazza timida e silenziosa dell’ultimo banco. E arrivo alla conclusione: “Dov’è finita la sete dell’uomo? Quella sete di vita, di sapere, di gloria, di compiere azioni eterne? Nulla di tutto ciò può dirsi scomparso. E’ ancora in noi, è intrinseco alla natura umana. Io credo ancora in quest’ultimo barlume di umanità, credo nel potere che hanno in mano coloro che non si lasciano andare. Affermo dunque con fermezza che l’uomo è grandezza, eternità, bellezza“.
Grandezza, eternità, bellezza… Certo che puoi crederlo, certo che puoi affermarlo con tutta la tua forza. Ti credo, Claudia: tu hai visto le stelle!