“Sì, le cose mi son parse semplici all’improvviso. Il ricordo non ne uscirà mai più da me. Quel cielo chiaro, la nebbia fulva crivellata d’oro, i pendii ancora bianchi di brina, e quella macchina splendente che ansava dolcemente nel sole… Ho compreso che la giovinezza è benedetta — che è un rischio da correre — ma che quel rischio è benedetto anch’esso”(Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna).
La leggo, e la rileggo, e più la leggo più mi accorgo che questa frase indica i punti essenziali di che cosa sia la scelta della scuola superiore, mi chiarisce le ragioni delle ansie che genera nei genitori e nei ragazzi, e della sensazione di estraneità che provo quando nei colloqui per la preiscrizione mi raccontano di certi “consigli orientativi” dati agli studenti alla fine delle medie.
Un rischio… — Innanzitutto non bisogna spaventarsi di fronte al fatto che la scelta della scuola superiore sia un “rischio”. Si passa dall’indistinto, dal “tutto uguale per tutti” delle scuole medie a un percorso specifico, particolare. Un indirizzo di studio: quello, proprio quello lì, e non altri… Questo implica, tra le altre cose, che il numero di scuole che propongono il percorso che si immagina adatto si riduca drasticamente, che gli istituti si trovano magari lontani, dall’altra parte della propria città, o addirittura altrove… Per la prima volta entrano in gioco nella scelta della scuola elementi “fisici” che fino a questo momento non sono mai stati un problema.
Implica anche che si affrontino materie e argomenti per cui non si è preparati, che non si conoscono. Stili di insegnamento e ambienti (professori, compagni, dimensioni degli istituti) nuovi e inediti.
La prima tentazione è forse quella di voler eliminare questa necessità di scelta, pensando che insomma a tredici, quattordici anni un ragazzino non ha tutti gli elementi che gli servono per capire in anticipo qual è la sua strada. Infatti non si tratta di capire in anticipo, ma di individuare un percorso che possa essere, per prima cosa, sentito come interessante, come una “promessa per il futuro”. E’ un rischio (e non può non esserlo…) ma un rischio “benedetto”, in cui per la prima volta nella vita dei nostri ragazzi si pone il fatto di mettere a tema che la loro vita, il loro futuro, è una promessa. E contemporaneamente, siccome non si tratta di indovinare in anticipo, si apre la strada di un accompagnamento dei genitori in una scelta la cui bontà va verificata.
Orientare, per quello che mi ha insegnato l’esperienza, non è un’operazione che si fa prima della scelta. Non lo è se non in parte minore: l’identificazione di alcuni aspetti “promettenti” della scuola che si individua, dove per aspetto promettente bisogna intendere molte cose: la possibile corrispondenza delle materie con le propensioni dei ragazzi, i prof, l’impressione che fa la scuola, il tipo di rapporto tra docenti e allievi che si riesce ad intuire, le prospettive a cui la scuola scelta prepara, i compagni che si troveranno, eccetera.
Il grande lavoro di orientamento si fa dopo la scelta, verificando passo per passo se la “promessa”, pur nelle difficoltà, si avvera. Scegliere la scuola giusta significa anche capire dove si trovano insegnanti interessati ad accompagnare i genitori, soprattutto nel primo biennio, in questo lavoro; dove si trovano le condizioni perché questo lavoro sia realistico. Tutto questo è vero sia che il percorso scolastico proceda in modo positivo (una promessa che si avvera deve essere comunicata e compresa per essere tale) sia che invece mostri difficoltà o ostacoli anche gravi (una risposta non adeguata alla promessa non nega la verità della stessa, e nemmeno la possibilità che essa possa compiersi altrove).
Non è scontato trovare scuole disposte a un rapporto di questo genere con i genitori; anche questo diventa un elemento da osservare per orientarsi nella scelta. Spesso si pensa che la necessaria riqualificazione della scuola italiana passi attraverso una selettività che si riduce nella decimazione degli studenti di prima e di seconda, e dove il rapporto tra insegnanti e genitori si limita alla certificazione delle difficoltà scolastiche dei figli.
Un rischio benedetto… — Orientare non è indovinare. E’ accompagnare. E’ un rischio benedetto perché costituisce un momento (forse il primo, forse unico per intensità e importanza) in cui l’educazione passa attraverso il destarsi e il riconoscere che la propria vita è una promessa, e attraverso la verifica, paziente e serena, di scelte concrete.
Occorre tenere a mente un altro aspetto, che spesso rischia di essere distorsivo nell’approccio all’orientamento. Tutte le scuole, se sono la possibile risposta alla promessa che i nostri figli hanno l’occasione di scoprire essere la loro vita, sono la scuola giusta.
Fino a pochi anni fa la scelta del liceo (rispetto ad altri indirizzi, come l’istituto tecnico o l’istruzione e formazione professionale) era sentita come socialmente qualificante. Negli ultimi due o tre anni questa scelta è stata rafforzata da una sorta di timore: quello per cui i percorsi tecnici o professionali, nella loro necessaria “settorialità” aumentino la probabilità di un errore nell'”indovinare” l’indirizzo: “E se poi non è portato per l’economia? O per l’elettrotecnica?” Scegliere un percorso specifico è sempre più sentito come un rischio aggiuntivo.
Ma orientare e orientarsi è sempre scegliere. Il liceo classico o l’istituto tecnico industriale, lo psicopedagogico o il percorso professionale alberghiero sono tanto più risposta alla promessa quanto più permettono al ragazzo di misurarsi su qualcosa di concreto, e ai suoi genitori di accompagnarlo in questo suo sperimentarsi. Eventuali propensioni (anche embrionali) al lavoro possono nascondere una promessa, e contemporaneamente essere occasioni perché un ragazzo possa scoprire nel tempo se vuole provare a cercare lavoro a vent’anni o se invece proseguire gli studi.
In altri termini, il fatto di essere una scuola di serie A o di serie B non dipende dall’indirizzo degli studi, ma dalla sua capacità di offrire un percorso chiaro (eh sì, anche specifico), di saper valorizzare il desiderio e l’impegno del ragazzo a immaginarsi adulto, di rendere ricca e piena di ragioni ogni scelta (di lavoro o di ulteriori studi).
“Le cose mi son parse semplici, così, all’improvviso…” — Io non sono un orientatore. Sono un docente. Ai genitori che mi chiedono indicazioni per la scelta della scuola superiore io non ho un approccio tecnico da dare. Non ho l’algoritmo che permette, inseriti i parametri fondamentali, di indicare nome e indirizzo della scuola adatta.
Sono anche un genitore. I docenti e le scuole che hanno aiutato di più noi e i nostri figli sono stati quelli che hanno cercato di spiegare con chiarezza (mostrando, questa chiarezza, di averla) che tipo di percorso avevano in mente, quali appuntamenti e occasioni formative avevano progettato e sperimentato, che hanno esplicitato e reso evidente una disponibilità ad accompagnarci nella verifica, che hanno fatto intravvedere un lavoro unitario con i loro colleghi.
Alla fine, le cose sono semplici: la scelta della scuola superiore è un’occasione per i ragazzi per cominciare a porsi la questione su che cosa sembra loro iniziare a compiere una promessa; un’occasione per i genitori per accompagnare i figli, nei successi e negli insuccessi, concretamente, nel tempo, senza ansie prestazionali o di prestigio sociale; un’occasione per le scuole per offrire percorsi chiari, scelte concretamente finalizzate a qualcosa, collaborazione e condivisione con i genitori nel lavoro di accompagnamento e di verifica.
Un’occasione rischiosa, ma in fondo “benedetta”.