Come ogni anno, viene riproposta in questo periodo la solita routine delle materie scelte dal ministro per le seconde prove degli esami di maturità 2015.

Un appuntamento fisso, atteso e invocato da docenti e studenti. Insomma, un punto fermo della vita della scuola, che concede poche varianti.

Quest’anno le novità riguardano, per i licei, i nuovi indirizzi liceali figli della riforma del 2010: liceo economico-sociale, liceo coreutico e musicale, e quello delle scienze applicate. Ma una novità, in questi nuovi esami di maturità, riguarda anche il liceo linguistico: la seconda prova verterà sulla prima lingua proposta da ogni singola scuola, non sarà più scelta dal singolo studente.



Gli esami di maturità di quest’anno contengono, dunque, un mix di scelte del tutto previste (la matematica allo scientifico ed il latino al classico) e qualche novità. Un’altra novità importante potrebbe, se allargata, cambiare molte carte in tavola. Parlo del progetto EsaBac, cioè delle 149 scuole che hanno proposto nei licei linguistici, nel triennio, l’insegnamento della storia in lingua francese. Questi studenti sosterranno una prova aggiuntiva, la quale consentirà a questi studenti di ottenere il diploma di baccalaureato, cioè la maturità francese, oltre ovviamente a quella italiana.



Il calendario di questi esami di maturità ha le seguenti date segnate: il 17 giugno per la prima prova, il 18 per la seconda prova.

Sulle modalità di svolgimento di quest’ultima dobbiamo attendere un nuovo decreto, di imminente pubblicazione dal parte del ministero.

Resta l’enigma — sino ad oggi oggetto di tante dichiarazioni da parte del governo — della composizione delle commissioni d’esame: saranno tutte composte di soli interni, oppure, come gli ultimi anni, per metà interni e metà esterni, col presidente, ogni due classi, esterno?

La legge di stabilità ha rimandato la palla al ministro, che deciderà in un apposito decreto entro febbraio. Rimane l’imbarazzo: a metà anno scolastico i docenti e, soprattutto, gli studenti, non conoscono le regole del gioco, cioè le modalità di svolgimento di questi esami. Di una cosa siamo sicuri: nessuno ha capito se ci sono o meno i 140 milioni di euro necessari per le vecchie commissioni. Vedremo.



In attesa, quindi, di leggere questo ennesimo decreto, il governo ha promesso, sempre a febbraio, altri decreti, quelli annunciati nel documento sulla “Buona Scuola”, fatto oggetto di una consultazione pubblica, con risultati molto contrastati.

Sullo sfondo, quasi una ciliegina, vi è un altro enigma: resterà il ministro Giannini a capo del dicastero di viale Trastevere? Tanti rumors, in questi mesi, hanno ventilato un possibile cambio di guardia: il premier Renzi vorrebbe imporre, per governare la “Buona Scuola”, un suo uomo. Anche in questo caso, vedremo.

Resta la vera questione che è ben presente nella vita delle scuole: se questo impianto formativo sia in grado, oggi, di offrire ai nostri giovani le migliori opportunità per il loro e nostro futuro, viste le implicazioni della nostra “società aperta”. Sapendo comunque che, per i giovani in gamba, la prospettiva, in troppi casi, sta diventando la via dell’estero, unica alternativa alla diffusa precarietà di tutte le professioni intellettuali.

In relazione, quindi, a tutte queste complessità, come intendere, come assegnare e riconoscere un qualche valore agli esami di maturità? 

I quali, lo sappiamo, oltre ad essere comunque una prova importante per i nostri ragazzi, quasi un “soglia d’ingresso” verso l’età adulta, dovremmo verificare, nel concreto, se sono orientativi in relazione alle scelte che gli stessi studenti si apprestano a fare. Non parlo qui della questione, più formale che altro, del valore legale del titolo di studio, in un tempo che vede, invece, la priorità attribuita non alle prove finale, ma alle prove d’ingresso. Parlo della sempre maggiore domanda di “continuità” del percorso formativo, appunto per la sua implicazione orientante le scelte future.

Si inserisce qui, ad esempio, la proposta di consentire agli stessi studenti, in una logica di “organico funzionale”, la scelta di alcune discipline all’ultimo anno delle superiori. Ma anche la richiesta di personalizzazione, in termini di autonomia didattica, delle singole scuole è tutta da verificare, visto che le stesse scuole, nel concreto, sono costrette a rincorrere le prove degli esami di maturità nelle loro programmazioni didattiche, perché le tracce proposte agli esami sono — sempre — pensate e costruite lontane da quell’autonomia.

Come si può notare, la riflessione sulla vita concreta delle scuole ci sta portando a questa evidenza: cioè allo scontro, mai assopito, tra controllo centralistico dei percorsi formativi e maggiore richieste di modulazione, di riscrittura, da parte delle diverse realtà locali, territoriali, innovative.

Quali novità, in questo senso, conterranno i decreti sulla “Buona Scuola” promessi a febbraio? O riproporranno il solito cliché del controllo centralizzato, per il timore della libera iniziativa “glocale”? Riusciranno a proporre una “cultura dei risultati” che non si fermi al muro di gomma del valore legale dei titoli di studio?

Nel mentre noi discutiamo di queste cose, la scuola reale, in questo stesso momento storico, sta soffrendo come non mai. Per i continui tagli, per l’impossibile gestione qualitativa del personale, per la semi-scomparsa delle province e delle sue risorse, per il venir meno delle tradizionali evidenze culturali ed etiche.

Se la scuola è lo specchio del futuro di un Paese, non è, dunque, da stare molto allegri, al di là dei troppi effetti-annuncio.