Ai tempi (nel 2013) del ricorso di Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano, contro la bocciatura da parte del Tar dell’insegnamento in inglese obbligatorio (nei corsi magistrali e nei dottorati fatta dal Politecnico), l’attuale ministro dell’Istruzione on. Giannini si pronunciò contro. Ed ora è in nome del rispetto delle norme della riforma della scuola, in particolare l’articolo che prevede l’internazionalizzazione degli atenei, che il Consiglio di Stato ha dato ragione al Politecnico (ma sollevando un dubbio di costituzionalità).
Dunque, il problema non è che il Politecnico abbia infranto il regio decreto del 1933 che indica la lingua italiana come lingua dell’insegnamento (norma alla quale, a mio parere anacronisticamente, i 150 professori, del Politecnico e altri, si erano appellati), ma la possibile incostituzionalità di una legge stessa dello Stato. Con conseguente ulteriore prolungamento della contesa alla Corte costituzionale, dopo che la sentenza stessa del Consiglio di Stato è arrivata con una certa lentezza (la contesa si è aperta nel 2013, quando il Politecnico annunciò di voler aprire solo corsi magistrali in lingua inglese), per la “delicatezza della materia”.
Cosa sia successo fra il ricorso del Politecnico e l’attuale, non definitiva, sentenza, non è forse cosa così nota; uno dei tanti casi di vicende giudiziarie apparentemente interminabili del bel Paese. Innanzitutto il ricorso del Politecnico al Consiglio di Stato, come da legge, ha sospeso la sentenza del Tar, dopo di che il Politecnico ha operato all’interno del quadro che le varie sentenze e discussioni apertesi avevano cominciato a chiarire, relativamente ai quesiti legati all’espressione della libera scelta di …. studenti? docenti? ateneo?, aprendo — a settembre 2014 — 32 corsi magistrali in lingua inglese per 2.562 studenti internazionali su 7.150 domande pervenute.
Solo 6 corsi sono stati aperti in lingua italiana, e la scelta fra inglese sì/inglese no, nella contesa guelfi/ghibellini pro/contro English, si è risolta con singole delibere dei Consigli dei corsi di studio. I 150 professori che si erano appellati al Tar lombardo, molti del Politecnico e di questi molti della facoltà di Architettura, hanno evidentemente perso ai voti, viste le regole del meccanismo democratico per cui chi ha la maggioranza decide anche per la minoranza. Anche Architettura rientra, per dovere di cronaca, fra i corsi magistrali in lingua inglese attivati a settembre 2014.
Questa la diatriba legale, che, come tutte le diatribe legali, non può che procedere per gradi di giudizio e nell’ambito delle norme esistenti e purtroppo, almeno in Italia, con una certa “lentezza”. O forse “cautela”? E’ ragionevole ora supporre che gli studenti internazionali che attualmente frequentano i corsi del Politecnico potranno terminare gli studi intrapresi, cosa di cui credo fossero personalmente convinti, visto che, pur in presenza della spada di Damocle della sentenza del Consiglio di Stato, si sono immatricolati a settembre 2014, e dovendo anche superare una selezione piuttosto significativa.
Fine della contesa guelfi/ghibellini pro/contro English? La decisione del Politecnico del 2012 aveva scoperchiato il vaso di Pandora, e i venti ne sono usciti a suo tempo. Rimane invece pertinente e sommamente interessante la question della “perdita di terreno” da parte della lingua italiana a favore dell’inglese, e la necessità di una distaccata valutazione del problema.
La “morte” di una lingua è preceduta da una fase di “rischio di estinzione” della stessa; una lingua si definisce a rischio di estinzione quando non è più parlata nell’ambito familiare, o almeno è vulnerabile se essa è parlata dalle nuove generazioni solo nell’ambito familiare.
Dove una lingua è parlata da tutte le generazioni e la “trasmissione intergenerazionale è ininterrotta”, la lingua non è a rischio di estinzione.
La question dell’inglese sì/inglese no al Politecnico (ma il Politecnico di Milano è il luogo simbolico di questa diatriba) è un problema di supremazia culturale, un termine che, in un mondo che è globalizzato e multiculturale, ma che è anche un mondo post tragedie del XX secolo e quelle recenti del XXI, quali i recenti e sanguinosi esempi di clash of cultures, risulta semplicemente inquietante.