Il latino non è una lingua morta, se da duemila anni viene studiato, venerato, odiato ed è oggetto di dibattito, non solo per uomini di lettere e studiosi, ma anche per la pubblica opinione. Di questo delicato momento di disorientamento della cultura classica, che ha interessato anche una parte di  cittadini più sensibili a tale questione certamente minoritaria rispetto ad altre di più cogente attualità, pare pienamente consapevole il mondo accademico di tutta Europa, che si è interrogato sul senso e sul significato  dell’istruzione classica nel terzo millennio, in cui i giovani sono definiti “nativi digitali”, capaci tuttavia di saper ascoltare le grandi voci di un passato che il vorticoso sviluppo tecnologico ha reso una sorta di “preistoria” della comunicazione oppure, secondo la definizione di Strauss, “archeologia del sapere”. Guido Milanese, ordinario di latino nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Brescia, è una delle voci più vive e autorevoli in questo dibattito, non esclusivamente accademico.



Professore, tra un “processo” e l’altro al liceo classico, vale ancora la pena studiare il latino nel terzo millennio?
Io distinguere i due fattori: il liceo classico e il latino. La crisi del liceo classico è dovuta essenzialmente alla perdita di fiducia delle famiglie nelle sua potenzialità formative al tempo di una crisi economica che dura dal 2008, e basterebbe incrociare i dati. Una difesa a spada tratta del liceo è controproducente; penso infatti all’ipotesi di un liceo umanistico dove sia data allo studente la scelta tra più matematica e il greco antico. Altrimenti tra dieci anni, se non cinque, avverrà la morte del liceo classico per il numero di studenti veramente basso; la trappola, intanto, potrebbe scattare anche solo proponendo l’opzione di una seconda lingua straniera al posto del greco.



Lei insegna una lingua “morta”: come si trova in mezzo a colleghi che insegnano lingue “vive”? La domanda è chiaramente provocatoria… qual è insomma il rapporto tra il latino e le lingue moderne?
Mi trovo a insegnare in questo dipartimento grazie alla chiamata del grande francesista e linguista Sergio Cigada, il quale volle mettere a frutto le mie attività di  classicista, medievista e conoscitore di lingue moderne, per far vedere che le lingue moderne e le loro letterature hanno un “collante”, un patrimonio comune, che è la cultura classica, innervata dal cristianesimo e trasmessa dal Medioevo. La mia materia si chiama “Cultura classica ed europea” come è tradizione negli atenei di area anglosassone: il che mette in luce il ruolo di questa disciplina apparentemente antichistica in un ambito modernistico.



Quale può essere il ruolo di una lingua di duemila anni e dunque la cultura da essa veicolata nell’Europa multilingue? 

L’Europa riconosce le proprie radici culturali solo nell’illuminismo greco e nell’illuminismo settecentesco, e a mio avviso manca di considerare il medioevo cristiano. Attualmente c’è un inglese “addomesticato” che funge da lingua franca per tutta l’Europa, mentre sarebbe anacronistico pensare, come fanno alcuni, a un latino come lingua utilizzabile da tutti. Il latino ha un ruolo di educazione linguistica per tutti gli europei, capace di dare consapevolezza del lessico della propria lingua madre e delle lingue straniere: il lessico intellettuale dell’Europa si è formato nel corso dei secoli grazie attingendo dalle acque del latino. Anzi, evocando l’immagine del grande filologo Pasquali, tutte le acque scorrono sotto terra raccogliendo tutti i minerali incontrati; similmente fanno le parole e le idee. Un’educazione umanistica senza latino è impensabile, mentre la mancanza di conoscenza del latino per chi si occupa di studi umanistici, numericamente irrilevante ma culturalmente determinante, significa non avere accesso al patrimonio di documenti e fonti di letteratura, filosofia, giurisprudenza…

Che cosa potrebbe fare il Parlamento europeo, concretamente, per dare un riconoscimento alla “funzione” storica del latino che mi pare di cogliere finora nelle sue risposte?
Latino e greco hanno due ruoli storici diversi: il latino è stata la lingua di una grande civiltà che ha continuato a essere usato nel Medioevo, nel Rinascimento, nel Barocco, quasi fino al Romanticismo. Sarebbe auspicabile riconoscere ufficialmente il latino come lingua storica della cultura europea, non certo per pronunciare un discorso al Parlamento europeo. Bisognerebbe dunque elaborare uno speciale statuto della lingua latina come lingua della storia della cultura europea, accanto alle lingue ufficiali dei Paesi aderenti all’Unione Europea. Quest’ultima adesso è in crisi per carenza di radici solide in cui affondare le motivazioni dello stare insieme e il latino può essere un terreno comune e sentito. Le giovani generazioni possono attraverso lo studio della lingua latina maturare questa consapevolezza linguistica su cui si basa la conoscenza di idiomi moderni e, nello stesso tempo, “sentire” questa radice comune della cultura classica degli ultimi secoli. Tuttavia lo studio delle lingua latina nelle scuole europee è molto disomogeneo…

Nel dialogo tra cultura antica e cultura moderna, c’è una interessante iniziativa in corso in Italia: la Certificazione Linguistica Latina, un po’ come accade per l’inglese e il tedesco… qual è l’obiettivo di questo progetto?
Questa idea nasceva in me dall’esperienza quotidiana: trovandomi a lavorare con colleghi di lingue moderne, osservavo come essi insegnassero con lo scopo di poter rendere chiaro e dunque “certificato” l’apprendimento su vari livelli che gli studenti perseguivano. Inoltre, l’idea nasceva dal “disagio” che io provavo nell’essere spettatore della “guerra” delle metodologie didattiche del latino. Mi chiesi allora se non fosse meglio lavorare di comune accordo sugli obiettivi al di là del metodo scelto: meglio un insegnante bravo con un cattivo metodo che il contrario! Pascoli e Pasquali sottolineavano che il latino ai loro tempi veniva imparato male. Non voglio dire che dobbiamo trattare il latino come una lingua moderna, ma pur sempre come una lingua… non in quanto strumento per fare altro.

Una volta, ad un convegno, lei auspicava — uso le sue parole — il “dialogo serio con la didattica delle lingue moderne, dalla quale comprendere quanto, in un secolo e mezzo di studio e applicazione, si è costruito e tentato. E, se il latino e il greco sono lingue, non si vede perché sfuggire dal confronto”. 

Esatto…

La scuola media ha festeggiato i cinquanta anni di vita. Nel 1962 si decise l’istituzione della scuola media unica, raggiungendo un compromesso per il latino, inserito nel programma di II media e facoltativo in III, riservata cioè a coloro che sceglievano di proseguire gli  studi. Nel 1969 si parlò di primi rudimenti della lingua latina, facoltativo,  in terza media; nel 1977 ci fu l’abolizione definitiva. Eppure in tante scuole secondarie di primo grado vengono attivati corsi extracurricolari, a volte pagati dai genitori, per imparare il latino: addirittura una scuola su quattro. Come interpreta questo dato?
La formula compromissoria raggiunta negli anni Sessanta era a mio avviso buona: perché in seconda media si offrivano i primi lineamenti della morfologia latina ai ragazzini con l’opportunità di affinare una prima riflessione metalinguistica sull’italiano e sul lessico. Questo tentativo buono sulla carta fallì nella realtà perché, da una parte, c’erano docenti di quella generazione che insegnavano il latino in maniera “seria” come erano stati abituati dalla scuola prima della riforma (un corso rapido di grammatica latina concentrata), dall’altra parte c’erano docenti che ideologicamente erano contrari al latino come status-symbol di un certo retaggio storico, oppure non erano adeguatamente preparati se venivano dalla scuola dell’avviamento professionale. A quel tempo non c’erano strumenti per sostenere la formazione e l’aggiornamento dei docenti come ci sono oggi. Credo che il successo di questi corsi ufficiali o paraufficiali — di cui ho una piccola esperienza diretta a livello personale — si basi sull’opinione dei genitori del contributo del latino allo studio dell’italiano. Aggiungo che all’interno della Consulta Universitaria degli Studi Latini si è deciso di avviare una campagna esplorativa per censire e monitorare questi corsi di latino nella scuola media. 

In conclusione: il latino per chi? Il latino perché?
Potrei rispondere menzionando il titolo di un convegno che organizzai qualche anno fa: a ciascuno il suo latino. Con questo voglio sottolineare che la situazione è abbastanza variegata. Ma attualmente sono due le emergenze culturali della scuola italiana più generali, in campo umanistico: la difficoltà da parte dei ragazzi dell’uso consapevole della lingua italiana e la consapevolezza della storicità. Lo constato anche negli studenti un universitari.

Come lo spiega?
Le cause sono molte, tra cui l’eccessivo bombardamento delle informazioni a cui i ragazzi di oggi sono sottoposti e conseguenza di ciò è la fatica della lingua scritta. Inoltre, c’è una dilagante incapacità di storicizzare e differenziare a livello temporale, quasi che tutto fosse una in una sorta di sincronia totale per i ventenni di oggi: internet azzerando le distanze porta a un “appiattimento” storico. Per affrontare queste emergenze, ovvero l’incapacità cronologica e il deficit linguistico che si manifesta in modo particolare nella produzione di testi non elementari, una risposta funzionale può certamente offerta dal latino per le ragioni che abbiamo detto prima.