E’ forse la prima volta, in questi ultimi anni — ma anche nei penultimi — che un responsabile scuola del Pd “osa” rispondere a muso duro alle contestazioni degli studenti, che questa volta hanno messo sotto tiro, nelle piazze, quella parte della legge 107/2015 che sistematizza e estende l’istituto dell’alternanza scuola-lavoro.
Secondo questi ragazzi “snob” — così li ha qualificati la senatrice Francesca Puglisi, già leader dei Giovani democratici prodiani a Bologna, poi diventata responsabile scuola del Pd, schierata con i cosiddetti Giovani Turchi, di ex-osservanza dalemiana, membro della Segreteria di Renzi — l’alternanza scuola-lavoro apre la scuola allo sfruttamento dei minori e, dunque, subordina la scuola pubblica agli interessi degli imprenditori privati. Insomma: privatizzazione e aziendalizzazione, incubi ricorrenti dell’immaginario collettivo della sinistra. Ragazzi non solo snob, ma, soprattutto, decisamente ignoranti del testo di legge (commi 33-43), che regola la materia in questione e che essi si rifiutano ostinatamente di leggere. I reduci del ’68, tra cui chi scrive, sono scandalizzati, pensando alle lunghe assemblee in cui si svisceravano puntigliosamente articoli e commi, con accanimento esegetico degno di cause migliori. Sì, le ideologie sono tramontate, ma lo sguardo ideologico sul mondo imperversa più di prima, fino al punto da ri-adottare oggi quell’atteggiamento che portò mons. Cremonini nel ‘600 a respingere l’invito di Galileo a osservare di persona le macchie lunari attraverso il cannocchiale.
La posta in gioco attuale è certamente meno densa di implicazioni teologico-filosofiche, ma perdura la negazione ideologica della realtà effettuale. Che l’istituto dell’alternanza scuola-lavoro sia esattamente l’opposto della privatizzazione di risorse pubbliche — semmai si risolve in una pubblicizzazione di risorse private a favore della scuola pubblica — dovrebbe essere evidente. Insorge una domanda: perché i ragazzi rifiutano la realtà? Chi ha il compito di aprirli sul mondo reale?
In primis, certamente i loro insegnanti. Il guaio è che moltissimi docenti, a loro volta, si rifiutano di leggere il testo della legge e, quando lo fanno, lo infilano nel tunnel ideologico di cui sopra. La catena pedagogico-ideologica parte da loro e imprigiona gli studenti. Stanno seduti sulle loro cattedre, ma scendono in piazza per interposti studenti. E agli insegnanti chi racconta la verità delle cose? Toccherebbe alla politica, intesa come governo e come partiti.
E qui torniamo alla Puglisi. Prima dell’inaspettato “muso duro”, ha sempre preso una posizione di appeasement nei confronti degli insegnanti, di cui pareva condividere i tre tabù ossessivi: la paura dell’aziendalizzazione/privatizzazione della scuola pubblica, l’egualitarismo burocratico-pauperistico applicato sia ai percorsi degli studenti sia alle “carriere” degli insegnanti, l’assemblearismo-parlamentarismo dei collegi docenti nell’esercizio della governance. Erano e sono i tabù della Federazione dei Lavoratori della conoscenza, alias Cgil-Scuola dei vecchi tempi. La caduta da cavallo della Puglisi sulla via di Damasco della legge 107/2015 è dunque cosa buona e giusta. Si deve tuttavia constatare che la maggioranza del Pd e della sinistra italiana sta fortemente abbrancata alle vecchie redini.
Se il capo del governo sta facendo la sua battaglia, il Pd-partito non segue il suo segretario: resistenze, timidezze, antiche ossessioni hanno contribuito ad abbassare il tono riformistico-innovativo del documento “La Buona Scuola”, hanno ulteriormente emendato il ddl del marzo 2015, hanno generato la legge 107 del 13 luglio 2015, nella quale è affermato sì il principio strategico dell’autonomia, senza che, tuttavia, ne siano state definite le condizioni di realizzabilità, la prima delle quali è la revisione radicale dei decreti delegati del 1973/74, la seconda è quella della carriera e dello stato giuridico degli insegnanti. Così, alla fine, qualche passo è stato fatto, ma… It’s a Long Way to Tipperary.