Da decenni, il mare magnum della scuola statale è agitato da flussi e riflussi di agitazioni che, come ogni ciclo naturale, agitano le acque negli autunni (caldi) e nelle primavere di ogni anno scolastico.

Puntualmente anche in questo 2015, con precisione ciclica, la primavera scolastica è stata agitata nel mese di maggio da una storica protesta contro la proposta di legge della Buona Scuola con l’adesione congiunta delle sigle del sindacalismo alternativo e dei confederali, queste ultime in realtà coinvolte loro malgrado, per evitare di lasciare l’iniziativa nelle mani dei sindacati di base. Allora la manifestazione in massa dei docenti, a cui si aggiunse un rigurgito di protesta con il (parziale) blocco degli scrutini di giugno, tentò di sfidare il governo Renzi ed il parlamento che, invece, si dimostrarono decisi a portare avanti l’approvazione della legge. Quando essa venne promulgata come legge 107/2015 nel luglio scorso, bollettini e siti sindacali preannunciarono subito l’autunno più caldo di sempre per una definitiva spallata alla norma medesima. Mai autunno fu più quieto di questo ottobre. Come si spiega? Colpa dei nuovi cambiamenti climatici? Come mai tanti “lavoratori” della scuola hanno voltato le spalle in pochi mesi ai capi sindacali? Come mai questo mezzo fallimento delle manifestazioni svoltesi in diverse città italiane, rompendo una routine decennale di autunni “caldi” anche nella scuola? 



Certamente c’è da prendere atto, innanzitutto, di una perdita di presa nella società, di messa in discussione dei valori fondanti del sindacalismo confederale come l’unità, l’autonomia, la rappresentanza: una crisi dovuta ad una debolezza di analisi dei cambiamenti sociali ed a una valutazione troppo riduttiva delle conseguenze delle trasformazioni dei luoghi di lavoro in atto e delle possibilità che il movimento poteva un tempo esprimere.



E ancora, come può una battaglia sindacale contro una legge che a maggio non era ancora stata scritta, e che aveva coinvolto tanti docenti, reggere di fronte all’opportunità concreta offerta a tanti di quegli stessi insegnanti di entrare in breve tempo di ruolo con il piano assunzioni che proprio quella legge ha, poi, successivamente, introdotto?

Anche lo stile “rottamatore” di Renzi, disponibile al dialogo, ma poi deciso al fare, ha messo in crisi lo stile della concertazione e della strategia sindacale, togliendole quasi la sua ragione d’essere. 

E, poi, come si sa, è l’unione che fa la forza: ed in questo i diversi sindacati della scuola, piccoli o storici, non sanno proprio mettersi d’accordo ed ora, di fronte alla perdita di consensi, per evitare di spaccarsi stanno modificando (opportunisticamente?) la propria piattaforma all’intero pubblico impiego, evitando però di dire a docenti e Ata che un eventuale contratto del pubblico impiego sarà finanziato in parte proprio con i risparmi derivanti dal piano di assunzioni per via di un numero di assunti inferiore al tetto di 55mila posti previsto dalla legge 107, con conseguente risparmio di circa 700 milioni di euro.



Ed ora il silenzio che gli organi di stampa ufficiali hanno riservato al flop delle più recenti proteste di piazza pare voler fare il gioco di un’ultima strategia trasformista dei sindacati del comparto scuola che, forse, hanno in mente di attribuirsi almeno il merito di essere riusciti a strappare altri soldi al Governo per il rinnovo dei contratti, mitiche arabe fenici.   
Intanto nelle scuole presidi e docenti, più realisti di ogni re, talvolta anche incontrandosi nei momenti collegiali di libero confronto e collaborazione, hanno cominciato a lavorare sui contenuti e sulle opportunità offerte dalla Buona Scuola, lasciandosi interpellare, prima che dalle provocazioni sindacali, dalle (vere) ragioni dell’essere a scuola: rispondere al bisogno sempre più urgente di attenzione e di cultura da parte delle giovani generazioni, scoprendo così il piatto di lenticchie, insipido e poco opportuno, dei proclami sindacali. 

La protesta delle ultime (non riuscite) mobilitazioni autunnali trovava ragioni nel dare più valore al lavoro della scuola come un’assoluta priorità rivendicando di non essere (da sito della Flc-Cgil) “disponibili a subire passivamente un modello di scuola e di organizzazione del lavoro che mette in discussione valori e principi costituzionali”. Anche per il sindacato (che voglia diventare autentico e perciò credibile) è il momento di riconoscere il fallimento di un modello di rappresentanza che ha preteso di governare tutta la vita e la professionalità del personale scolastico perdendo di vista la propria natura —costituzionalmente riconosciuta — di associazione chiamata a difendere i diritti dei lavoratori.

Per una buona scuola è il tempo di un buon sindacato?