Ha diciassette anni la studentessa arrestata ieri per l’omicidio della propria madre avvenuto lo scorso 25 maggio a Melito Porto Salvo vicino a Reggio Calabria. La ragazza ha sparato alla mamma nel sonno, usando la pistola del padre, perché la donna le intimava una frequenza più regolare a scuola privandola di cellulare e connessione internet come “punizione” per la condotta non esemplare che stava tenendo nell’ultimo periodo. Un altro caso di ordinaria follia che non può non aprire domande in chi ogni giorno a scuola con questi ragazzi vive e dialoga, cogliendo sempre di più il sentimento di una generazione ferita e arrabbiata per quello che la vita ha loro fatto, incapace di vedere altro che il proprio acuto dolore.
“Beautiful disaster” è la canzone che Fedez e Mika hanno inciso insieme per questo autunno e pare essere una vera e propria colonna sonora di questa “generazione violata” e senza parole. “Da dove siete usciti, dice una voce incerta; non lo so ma siamo entrati da una ferita aperta”. La genesi del male di questi nostri ragazzi è appunto una ferita, un tradimento, una promessa mancata che probabilmente hanno avvertito cento, mille, generazioni prima di loro, ma che la responsabilità e il pensiero arginavano, mentre oggi — orfani di tutto questo — essi sentono come il dato supremo della condizione umana, ossia di non essersi sentiti amati almeno per un istante. Da lì la vita ha aperto una sorta di debito con loro suggerendo che “lanciare un sasso è più eloquente di una supplica”.
La violenza, la trasgressione, l’espansione illimitata e senza confini del sé sono diventati i “segni indelebili” attraverso cui questi ragazzi parlano a chi li ha preceduti, schifati da credo e ideologie, dalle lotte, dai moralismi e dalle ortodossie, disposti “a fare la guerra” a chi li ha preceduti pur di avere un po’ di pace nel proprio cuore. È insomma una sorta di processo che una nuova generazione fa a quella precedente, quella che Gaber sosteneva che “avesse perso” il proprio appuntamento con la storia, distruggendo ogni forma di autorità e di sana appartenenza.
L’esito è questo travaglio generazionale che non si accontenta del cibo dei propri padri, ma che li affronta identificando nei loro errori e nei loro sbagli la causa di un mondo ingiusto e violento. “La vita fa schifo, ma il panorama è bellissimo” conclude con una nota di nostalgia Fedez, ad indicare che perfino un cuore assassino è però in cerca della bellezza, a mostrarci che anche per quella ragazzina di diciassette anni la vita è promessa e che solo un incontro vero, umano, può parlarle e ridarle vita.
“Salve prof — si rivolge a me una diciassettenne della mia scuola —. Le scrivo per dirle che da domani torno a fare religione. Quando è cominciato l’anno io mi ero messa in testa che lei fosse ‘finto’, che non ci volesse bene se non a quelli che erano dei ‘suoi’, di quelli che facevano religione. Le prime volte che uscivo di classe al cambio d’ora non volevo neppure vederla perché pensavo che mi volesse convincere a fare religione. Poi per due o tre volte l’ho incontrata nel corridoio e lei mi ha sorriso, quasi contento che io fossi stata così libera da arrivare a non fare religione quest’anno. Io lì mi sono detta che nessuno poteva essere contento che io fossi libera se non uno che mi voleva bene. E poi vedevo i miei compagni che aspettavano la sua ora contenti e io invece ero sempre più arrabbiata. Era più facile restare che andare via”. Ed è rientrata, è tornata a farsi guardare, a dialogare con me.
Perché al di là di ogni analisi e di ogni crimine è questo che attendono i nostri ragazzi al suono di ogni campanella: qualcuno appassionato davvero alla loro libertà, qualcuno capace di attenderli col cuore aperto. Capace di curare con la misericordia le ferite di una vita che forse davvero, in alcuni tratti, ha fatto troppo male.