“Non sono né un sociologo, né uno psicologo né un politico”, premette. Ma è un educatore, il professor Ivano Dionigi, classicista, rettore uscente dell’Università di Bologna, neopresidente di AlmaLaurea. E sulla scuola ha le idee molto chiare. L’Alma Mater Studiorum ospiterà domenica 11 il convegno “Insegnare oggi. Nuovi contesti e nuove sfide”, organizzato dalle sigle Cdo del mondo della scuola (Rischio Educativo, Cdo-Opere educative, Diesse, Disal) con l’adesione di più di venti associazioni del mondo educativo italiano. Parlerà don Julián Carrón, docente di teologia nell’Università Cattolica di Milano. 

Nuovi contesti e nuove sfide, dunque. Quali sono gli uni e le altre, professore?
Oggi diciamo scuola e pensiamo o all’edificio o alla Cenerentola dei ministeri, ma scuola è una parola nobile che deriva dal termine greco scholè, che indica l’equivalente dell’otium latino. E’ il tempo riservato alla formazione del sé, della propria persona. Dobbiamo tornare al senso originario.

Errori da evitare?
Vedervi solo la sede delle tre “i”, internet, impresa e inglese, per esempio. I nostri giovani hanno internet nel latte materno, l’inglese lo si impara bene andando all’estero, e per l’impresa gli strumenti ci sono. La scuola oggi deve piuttosto far da contraltare a una certa modernità. Deve dare ciò che si può trovare solo nel rapporto allievo-maestro. Una volta lo si chiamava spirito critico, la capacità di vagliare le cose. Nietzsche avrebbe detto che deve preparare cittadini completi, non “utili impiegati”.

La professione docente è svilita, non crede?
Sì. Maestro è parola latina che deriva dal linguaggio liturgico romano. Magister era il celebrante principale, valeva più del minister. Oggi è l’opposto, c’è il culto del ministro e la noncuranza del maestro.

Si accosta l’insegnante alla parola vocazione. Ma chi è costui in realtà? Un professionista, l’esponente di una categoria, un uomo di frontiera?
Di educatori ce ne sono tanti, dal maestro al genitore, al fratello maggiore. L’insegnante è innanzitutto una persona professionalmente preparata. Io lo accosto al medico. Entrambi si dedicano alla salute, uno a quella del corpo, l’altro a quella della mente e dell’anima. Non credo che l’insegnante debba fare delle grandi opzioni ideologiche. Dev’essere uno che insegna ai giovani a giudicare, ad avere una mente non all’insegna dell’aut aut ma dell’et et. La cultura è additiva, non sostitutiva. E guai all’insegnante che tarpa le ali ai giovani. Deve avere anche un afflato etico, introdurre i giovani alla difficile bellezza del bene comune.

Lei è un classicista e si sente.
Dai classici viene una grande lezione. Di fronte ai testi bisogna inchinarsi con rispetto e devozione, e farli parlare. Non c’è bisogno di travestirli, di ridurli a pretesto della propria fede o della propria ideologia.

A proposito di ideologie. Non sono morte, ci sono ancora.

Si parla di conflitto delle culture, ma tra culture il conflitto non esiste. Se c’è, è conflitto di ignoranze. I giovani devono conoscere la loro identità e le loro radici, ma con la consapevolezza che ciò che essi sono e che sanno è solo una porzione del tutto. 

Che cosa deve insegnare oggi la scuola?
Di questo sono preoccupato. Cosa manca oggi accanto alla sincronia di uno schermo scintillante? Manca la diacronia. La peggiore condanna dei giovani è il nostro deficit di senso storico. Un quadro ha un primo, un secondo e un terzo piano; ci vuole la diacronia, la storia, la successione. Allora si capirebbe che la globalizzazione non è così terrificante, l’impero romano aveva la sua moneta unica, l’ellenismo è stato un grande fenomeno di globalizzazione. Solo se uno sa che in passato ci sono state sfide analoghe può affrontare le cose, come diceva Spinoza, senza piangere né ridere, ma facendo lo sforzo di capire.

Chi insegna ripropone, ripete, ma i giovani cambiano, le nuove generazioni sono diverse. Come si può attrarli, suscitarne di nuovo l’interesse?
E’ vero, oggi l’umanità dei giovani è completamente diversa. Sono bombardati da una mole enorme di informazioni delle quali si ritrovano vittime. Tendono ad essere degli eremiti di massa, tante singolarità tutte uguali e interconnesse. Per questo la scuola oggi dev’essere un luogo di incontri reali, fare da antidoto alla realtà virtuale. Deve indurre a un rapporto reale tra pari e tra maestro e allievi. E qui la cosa diventa reciproca, perché anche l’insegnante impara dall’alunno. Deve però guardarlo negli occhi, capire i suoi problemi. E poi vengono i fondamentali.

Che cosa intende?
C’è una babele linguistica… Quanti giovani sanno argomentare bene un discorso? Occorre insegnar loro a parlare bene per pensare bene, perché, come diceva Platone, parlare bene, oltre a essere una cosa bella in sé, fa bene anche all’anima. La scuola deve ricominciare da qui.

(Federico Ferraù)