Caro direttore,
papa Francesco, parlando sabato scorso alle istituzioni educative cattoliche, ha detto loro parole molto forti. Le ha pronunciate come non accadeva da molto tempo da parte di un’importante personalità. Che sia stato il pontefice a dirle, ha un valore straordinario che dovrebbe far riflettere i più.
Ha definito i docenti operai meno pagati. Ed ha aggiunto che se questo avviene, vuol dire che le autorità pubbliche sottovalutano l’importanza dell’istruzione.
Francesco è stato netto, come se volesse, in un sol colpo, cancellare i tanti luoghi comuni alimentati soprattutto negli ultimi tempi, che addebitano agli insegnanti il malfunzionamento della scuola, per sviare responsabilità ben più grandi che investono questo bene preziosissimo.
A ben vedere, nella vita reale dell’istruzione italiana la situazione è disarmante. La scuola italiana è rappresentata da plessi scolastici inadeguati, attrezzature didattiche insufficienti e comunque anni luce distanti dalla civiltà digitale, cultura del lavoro carente, gestione inadeguata della integrazione di persone con handicap ed immigrate, insegnanti sottopagati. Dove potrà mai dirigersi una società che tratta l’istruzione in questo modo?
È incomprensibile l’incuria che si è riservata alle cose più importanti che riguardano lo sviluppo integrale della persona e della sua libertà, che passa attraverso pari opportunità davvero offerte.
Nella modernità che viviamo, è scontato che una persona che ha ricevuto istruzione da un’organizzazione scolastica arretrata è fatiscente, rispetto ad un’altra che l’ha ricevuta da una efficiente ed avanzata, non è messa nella stessa condizione di parità. Ancor più accade nella epoca della globalizzazione, della civiltà della comunicazione e dell’informazione.
Il fossato di opportunità, tra chi ha mezzi economici e chi non li ha, diventa più ampio, in quanto chi è in condizione di scarsità non può accedere agli ambienti più idonei alla propria preparazione, per inserirsi nella vita civile e professionale.
I nostri padri costituenti, agli albori della democrazia italiana, insistettero molto sulle pari condizioni da offrire ad ogni cittadino. Alla Repubblica, è stato affidato, perciò, il compito principale di offrire strumenti concreti per mettere ogni cittadino nella condizione di non essere svantaggiato di fronte a chi ha potere che gli deriva da maggiori mezzi di cui dispone.
L’istruzione dà forma ad una persona e gli offre i mezzi per mettere a frutto la propria intelligenza, per essere un attore consapevole e trasformatore del proprio contesto: è il potere dei poteri.
La crisi economica che ci ha investito ha aggravato la situazione preesistente. I conseguenti pesanti salassi a danno dell’istruzione, trattata alla stregua di una qualsiasi posta di bilancio pubblico, hanno bloccato anche i progetti di innovazione che in qualche occasione erano pur stati concepiti.
C’è da sperare che prenda piede una visione più lungimirante da parte dei pubblici poteri, che assegni all’istruzione il posto che merita nella graduatoria delle urgenze della società italiana.
Intanto gli insegnanti, sabato prossimo, protesteranno per una scuola più considerata e per il loro rinnovo contrattuale che non avviene da più di sei anni. A chi giova il loro malumore? Si spera che il governo riapra una discussione con loro per pagarli meglio, ed indichi una strada credibile per impegnarli con maggior profitto. Sarebbe un modo per dare un segno di discontinuità rispetto ai lunghi anni di abbandono che pesano sull’avvenire del paese.