Prima dicevamo “è già Natale” perché tirando il naso fuori dalla sciarpa, ci accorgevamo che nelle strade apparivano le prime lucine di Natale. Adesso, purtroppo, lo diciamo quando appaiono in cronaca i primi articoli sul preside di turno che toglie il presepe dalle scuole. Che sia il preside di una scuola di Rozzano, che sia il sindaco di Pietrasanta, che c’entrino Salvini o Forza Italia, che sia la recita di Natale o il coro con i canti, il discorso non cambia. Come le lucine di Natale mi stupiscono ogni anno anche se sono sempre le stesse, così le polemiche sul presepe mi stupiscono ogni anno anche se sono sempre le stesse. Preside sconosciuto, una normale circolare scolastica di fine novembre, divieto di fare canti, presepi e recite.



A me lo stupore piace perché è l’emozione più vicina a quando eravamo bambini, ma questo stupore no, non lo capisco. Cosa succede a Natale nelle nostre scuole? Non lo capisco. Mi sembra fuori luogo tirare in ballo la religione. Se fosse una Via Crucis o una processione del Corpus Domini lo capirei, ma pensare che il presepe possa discriminare significa non saper guardare la realtà, non essere bambini. Perché può discriminare qualcuno la storia della nascita di un bimbo in una città non sua, con dei genitori che non hanno chi li aiuti, che sono senza casa, e vengono visitati da stranieri e poveracci? Perché, poi, proprio un bambino straniero dovrebbe sentirsi offeso più di un italiano? Al contrario, uno straniero può dire, più di un italiano: guarda, è come me. 



La storia del presepe è la storia di tutti, per questo va benissimo in una scuola che è di tutti. L’unica preoccupazione che avrei come preside è di togliere il muschio, ci fosse qualche bambino allergico. Il presepe è una storia e il bambino rimane incantato dalle lucine dentro le case. Ho detto apposta casa, perché dove noi vediamo simboli, prevaricazioni, libertà soppresse, loro vedono una casa e un bambino. Non è difficile capire che presepe e bambini, presepe e casa, sembrano fatti apposta per incontrarsi nella palestra della scuola o vicino al gabbiotto del bidello, i luoghi storici dei nostri allestimenti di presepi scolastici.



Il presepe e i suoi abitanti sono così umili e piccoli che si accontentano di qualche metro di cartapesta marrone per le montagne e muschio del parco giochi e poi ogni classe contribuisce come può. I genitori saranno i pastori che vanno a vedere il miracolo di un presepe scolastico di scotch e colla e pongo e ovatta per la neve e la barba di Giuseppe.

Parlare di minacce e di turbamenti davanti ad una scena del genere, è grottesco, assurdo. Abbiamo visto da poco, e continuiamo a vedere, cosa fanno le vere minacce e cosa è il vero turbamento. Il sangue per le strade è ancora là. Non voglio fare lezioni o portare ragioni, culturali o religiose che siano, a favore del presepe, perché il presepe non ne ha bisogno. Ha bisogno solo di sguardi e stupore, come le lucine. Ha bisogno di bambini che sappiano guardare la realtà, arabi o italiani che siano. Se tiriamo fuori il naso dalle sciarpe, ecco mamma e papà che vanno a prendere a scuola il proprio figlio che ha il lavoretto di Natale nello zainetto. Tutti a casa per le vacanze di Natale. Lo dicono le parole, i fatti. Da sempre è un bambino che porta i doni a Natale: sia che sia la Salvezza, sia che sia una stellina di pasta Barilla dorata col pennello e incollata sul biglietto. Arrivo a dire che puoi togliere la Sacra Famiglia dal Natale ma non puoi togliere il Natale dalla famiglia. Non offendi nessuno perché siamo noi quella famiglia. Tutti noi. E quando fai il presepe, in ogni caso, la Sacra Famiglia che hai fatto uscire dalla porta, rientra dalla finestra.