Capire il presente e fornire una chiave interpretativa ai giovani che si interrogano su quanto sta accadendo nel mondo sembrano imprese disperate. Eppure, forse, qualche spiraglio si intravvede in mezzo alle tenebre che, dopo gli attentati di Parigi e l’inizio della terza guerra mondiale a pezzi e capitoli sparsi, come dice il Papa, sembrano avvolgerci. 



Il presente sembra volerci schiacciare presentando a noi occidentali il conto di errori e dimenticanze commessi da tempo. L’Occidente attaccato dal terrorismo islamico a partire dall’11 settembre 2001 fino alle recenti tragedie ha reagito in modo disunito e diseguale mostrando talvolta i muscoli, ma sostanzialmente dimenticando la propria identità costituita da una combinazione di tolleranza, libertà di religione e democrazia. L’Occidente ha pensato e pensa ancora, sbagliando, di potere esportare la democrazia con le armi relegando in secondo piano la questione fondamentale sulla quale nessuno osa esprimersi, a causa di una sorta di confuso patto di civiltà che non giova a nessuno. La questione è la seguente: da che cosa è definito un uomo autenticamente religioso, cioè autenticamente libero, capace di costruire attorno a sé spazi di convivenza e di partecipazione? È definito da prescrizioni e regole imposte dall’alto o non piuttosto da domande sul significato della realtà che lo avviano sulla strada della ricerca di un nesso con il mistero che lo circonda? L’alternativa è risolutiva perché l’uomo può assolvere nella storia la funzione di esecutore di comandi superiori, credendosi a suo modo servitore dell’infinito, oppure il compito di chi cerca un rapporto con l’infinito, mettendosi nella condizione di ascoltare gli eventi. 



È stato ripetuto da tutte le parti in causa, nei giorni successivi ai fatti di Parigi, che quella in corso non è una guerra di religione, bensì un conflitto asimmetrico che il radicalismo islamico con base nello stato islamico (Isis) intende combattere con le armi del terrorismo. È innegabile, tuttavia, che per mirare alla distruzione degli avversari e per spargere terrore il radicalismo islamico si serva anche (impropriamente) di un linguaggio totalizzante da ultimi giorni della storia e dell’umanità. Se dunque quella in corso non è una guerra di religione in senso classico, è comunque una guerra che avendo come scopo l’allargamento di uno spazio geopolitico denominato “califfato”, mira ad impiantare nei cuori dei suoi fanatici partigiani una certa simbologia religiosa. 



Che cosa sta dunque accadendo? I filosofi che si occupano del tempo e delle sue manifestazioni distinguono tra le categorie del “presente” e dell'”attualità”. Senza dovere rifare il percorso di questa complessa branca dell’ontologia contemporanea da Heidegger in poi, ma prendendone in prestito alcune suggestioni, si può convenire sulla seguente distinzione: il presente è il luogo della fattualità, la cui densità è anche il risultato del passato che ci precede; l’attualità è invece il luogo della “possibilità”, inteso come il tempo in cui accade qualcosa che va oltre il presente e decide del nostro futuro. 

Foucault in alcune sue variazioni sul tema, negli anni Settanta del secolo scorso, parlava, per esempio, di attualità come “evento da decifrare nel punto di intersezione tra due durate, due velocità, due evoluzioni, due linee di storia”. Prendendo spunto da questa chiave interpretativa proviamo a chiederci quali siano oggi queste due linee di storia, e quale possibilità sottenda la nostra attualità. La storia del presente ci ha squadernato davanti fatti drammatici: attentati provocati da giovani kamikaze contro cittadini inermi, guerra islamica di conquista, territori occupati, reazione occidentale che converge sulla necessità di “sistemare la questione siriana”. Da questo punto di vista i fatti hanno una loro logica che vedremo svolgersi nel prossimo periodo. Ad un altro livello, seguendo il ragionamento accennato, si colloca l’evento, ciò che non è puro fatto, ma passibile di sviluppo e di cambiamento. 

Quale evento? È stato messo in luce da vari osservatori che è in corso una guerra interna all’islam tra sciiti e sunniti, giunta alle sue estreme conseguenze. Gli attentati di Parigi hanno coinvolto persone normali e, soprattutto, giovani dinamici, amanti della musica e delle relazioni. Tra di essi anche tanti musulmani integrati in una società cosmopolita, il cui credo non impedisce loro di nutrire le aspettative di tutti. È qui che si insinua la violenza ideologica che sventolando il richiamo islamico radicale si prefigge lo scopo di impiantare in alcuni cuori disponibili il rifiuto di ogni umano desiderio. Lo spazio del cuore si fa allora duro e insensibile. Cuori induriti, riempiti di messaggi apocalittici e svuotati dei più umani desideri, diventano capaci di odio e di distruzione. Il terreno di conquista è allora il cuore. Questo dramma è l’evento che scorre sotto la calotta del presente e a questo livello si pone la sfida. L’islam radicale ha bisogno di impossessarsi di coscienze indurite per compiere le proprie azioni ed ha a disposizione, purtroppo, varie aree di disagio sociale in Occidente come in Medio Oriente e in Africa. 

Se questa seconda linea della storia scorre sotto il piano della geopolitica, siamo obbligati a spostare la nostra ottica su un fenomeno antico e nuovo nello stesso tempo: la conquista del cuore come premessa di ogni azione. È un terreno che ci riguarda, perché è il terreno sul quale si muove la vita di ciascuno, dovendo ogni uomo decidere, prima o poi, a chi affidare il proprio cuore. La battaglia per la conquista dei cuori è durissima e sanguinosa, passa da qui la formazione dell’esercito dei foreign fighters sul quale tanti padri europei si stanno interrogando: sono questi i nostri figli?  

La conquista del cuore non è frutto di automatismi, ma appunto una possibilità che interpella la libertà. Chiunque, e non pensiamo solo alle banlieues o agli slums, la può combattere. Perché un cuore si riempie se incontra chi lo possa affascinare e legare ad un prospettiva di positività e di personale partecipazione al proprio destino, piuttosto che ad una visione di morte. 

In questo senso la scuola è un ambito fondamentale di rapporti e di apertura della ragione ad una comprensione autentica del mondo. Lo è in quanto ambito di educazione e non solo di proposizione di dati e nozioni svincolati da una ipotesi di significato. È il primo luogo in cui si gioca la partita, quella della scelta tra la costruzione di un’identità relazionale o l’adesione a messaggi che distorcono le reali intenzioni del cuore.