In attesa dei famosi decreti promessi dalla “Buona Scuola”, come della immissione in ruolo dei precari storici, in vista del mitizzato organico funzionale, mancano pochi giorni dalla fine delle iscrizioni alle classi prime.
Data per buona, dunque, la riforma Gelmini del 2010 per le scuole superiori, cancellate dunque tutte le polemiche degli scorsi anni, sembra totalmente scomparsa, nel contempo, ogni attenzione nei confronti della domanda di qualità dell’offerta formativa, in termini non di contenitori, di strutture e di attori (presidi e docenti), ma di contenuti e di adeguatezza dei cicli scolastici. Secondo le nuove esigenze dei nostri giovani e del tessuto glocale.
Non credo siano sufficienti, tanto per capirci, interventi a spot sulla reintroduzione della storia dell’arte oppure dell’economia in tutti gli indirizzi.
Se in mezza Europa è aperto il dibattito, inoltre, sulla maturità a 18 o a 19 anni, in termini di una adeguata preparazione di base, da noi, a parte le sperimentazioni concesse ad alcune scuole, è sceso il silenzio. Nessuno più mette in discussione la via italiana della maturità a 19 anni.
Così, tra una difficoltà e l’altra, oramai è la logica del “si salvi chi può” che sembra dominare, tra risorse sempre più residuali (il fondo di istituto è poca cosa), l’unica speranza dell’aiuto delle famiglie attraverso i “contributi volontari”, la crisi finanziaria degli enti locali e pochi spiccioli per la manutenzione ed il funzionamento ordinario.
Il miraggio dell’organico funzionale? Un miraggio, appunto, vista la recente sentenza della Cassazione sulla distinzione tra risarcimento e diritto di assunzione, per i precari storici.
Altro che 148mila assunzioni! Vedremo quante saranno, al netto dei pensionamenti.
Facile immaginare come sarà il prossimo anno. Intanto, con l’approvazione del bilancio entro il 15 febbraio e la firma, in questi giorni, per la maggior parte delle scuole, del magro contratto di istituto, si cerca di portare a termine anche questo anno scolastico, con una classe docente non più giovanissima e poco disposta al processo di autovalutazione, sempre, ovviamente, a costo zero.
Pur sospesi tra tante difficoltà, credo sia sempre cosa buona e giusta riflettere su una ipotesi di revisione dei cicli scolastici. Un modo per non bruciare le residue energie di speranza e di responsabilità verso le giovani generazioni. Non parlo, tanto, per questa revisione, dell’anticipo a 5 anni della scuola elementare, con maturità, alla fine, a 18 anni, perché i ragazzi dovrebbero scegliere le superiori un anno prima dei 14 anni attuali, cosa non auspicabile. Né potrebbe risolvere il tutto la vecchia idea del biennio unitario delle superiori, ancora riproposta di recente dalla Cgil, perché lontana dalla effettività della vita dei nostri studenti.
Parlo della proposta, che qualcuno sta facendo circolare, della ristrutturazione della scuola media, vero buco nero della scuola italiana, allungandola di un anno, in modo da accompagnare i ragazzi ad una scelta più consapevole della scuola superiore.
Un doppio biennio, sia per la scuola media come per la scuola superiore, con una rivisitazione didattica ai fini orientativi, quindi con un primo biennio unitario ed un secondo che proponga dei percorsi di auto-chiarificazione e approfondimento, in vista delle scelte successive. E con percorsi, quindi, anche di scuola superiore distribuiti sui quattro anni, con classi di concorso aperte e non più frammentarie, come è oggi.
Percorsi che partano effettivamente dai “risultati di apprendimento”, e non a prescindere, come di fatto abbiamo ereditato, al di là degli esami di Stato (di terza media e di maturità), oramai obsoleti nella struttura e nella concezione.
Conseguenza: la scelta delle superiori avverrebbe a 15 anni, cioè in modo più consapevole, visto anche il fallimento delle “passerelle”, e ci sarebbe una redistribuzione logistica alunni/spazi tra scuole medie e scuole superiori, oggi quasi tutte in grave sofferenza, visto anche il crollo finanziario di ciò che resta del sistema-province.
L’ennesima riforma o riordino? Direi, più semplicemente, la rivisitazione dei percorsi formativi e del format logistico sulla base delle effettive esigenze dei giovani e del nostro tessuto sociale.
La mia proposta è di avere il coraggio di riaprire il cantiere della scuola. Un modo per ricentrare il cuore delle nostre preoccupazioni sulla qualità effettiva del “servizio pubblico” scolastico. Un “servizio” non più autoreferente, come è nella tradizione italiana e nella dominante pubblicistica sindacale.