Quindi eccomi qui: neoiscritto al corso per il Tfa presso la facoltà milanese nella quale ho brillantemente seguito il mio corso di laurea e dove mi sono altrettanto brillantemente due volte laureato dottore. Dottore semplice la prima volta, dottore magistrale la seconda. Un’altra bella trovata inspiegabile, come inspiegabile, del resto, è stato tutto questo viavai per arrivare fin qui. Ma intanto ci sono, ho pagato il mio bel bollettino e attendo di sapere le date per iniziare quest’altra chiarissima avventura con quella consapevolezza montaliana che muove l’intero operato di questo nostro allegro Paese, che un imprevisto, insomma, è la nostra sola speranza.
Nel frattempo tengo le mie lezioni al mattino, nella scuola di prima, quattro giorni alla settimana perché non ho una supplenza su cattedra intera e un po’ mi sembra ancora di essere fortunato: facciamo finta che debba davvero fare un tirocinio, quando lo faccio se sto cinque mattine piene alla scuola? Il mio collega pieno di carisma intanto mi chiede notizie, ma il signornonsochi, che questa volta sta dietro una vetrata di un ufficio dell’università, ancora non tira fuori niente sul web. Ma vedrai che a Natale succede qualcosa, c’è qualcuno che ci manda un regalo.
Ed eccolo lì: il mio nome dentro l’elenco di uno dei gruppi che deve lavorare a Milano per sudarsi il diploma. Due giorni alla settimana per cominciare, quattro ore per pomeriggio. Poi si vedrà: ancora? Ma non vi siete detti niente, nel frattempo, tra ministri che si guardano allo specchio e professori che mettono in atto le strategie per attuare le normative? No, a quanto pare, così dice anche il professore che ci accoglie sulla porta della sede dove cominciano i corsi. Che è chiusa, perché non hanno nemmeno avvisato i custodi che ci sarebbero stati dei corsi; così, bussa di qua e bussa di là, arriva qualcuno che apre e dice che va ad accendere anche la caldaia, mica che gli aspiranti si ammalino.
Rimanendo con giacche e cappelli quasi tutti e quaranta ci guardiamo con una domanda negli occhi che lasciamo però galleggiare lì dietro. Il professore è uno tosto, insegna la storia dell’età del bronzo e ne sa una più dei monaci di Umberto Eco, si scalda, s’infervora: è bravo davvero. Ma qualcuno di noi ha già fatto l’esame della storia lontana, qualcuno anche due volte, qualcuno ci ha pure scritto la tesi. Certamente nessuno di noi sapeva questi dettagli, questo fascino segreto di un’economia che i libri ci fanno credere una cosa e invece è una cosa diversa. Io già lo amo questo professore, ma nemmeno lui sa dirci cosa succederà tra un mese o tra due: aspiranti insegnanti, dottori plurilaureati, e docente del corso compreso non sappiamo se ci saranno lezioni solo due giorni, se ci saranno esami alla fine o, come si dice nei documenti, in itinere; non sappiamo se per noi che insegniamo alla scuola si possa pensare che il tirocinio non serve.
Il prof è bravo e io lo seguo per tutte e quattro le ore, sappiamo un sacco di cose, ma era così che lo avevano pensato ‘sto corso? Penso ai miei alunni che rivedrò il giorno dopo, magari qualche segreto lo spiego anche a loro, dell’uomo lontano e di altre bellezze, ma non so se adesso sono più bravo di prima a insegnare. Chissà cosa ne pensa il mio collega con il carisma che fuoriesce dai pori: lui ride, dopo tutto ‘sto viaggio, ti ritrovi a fare il professore studente, mi dice. La sera chiamo la mia amica di Parma, lei aveva iniziato da un po’ le lezioni, ma niente di tutto quello che stiamo facendo nel freddo a Milano: loro fanno linguistica, ma non l’avevano già fatta anche loro? Anche loro magari due volte? A qualcuno viene l’idea che forse in ogni sede si fa quello che si può, con gli insegnanti che ci sono, con quelli più desiderosi di mettersi in gioco, magari. Un po’ come viene, insomma, sempre per dare ragione a Montale. Ma noi dottori plurilaureati facciamo fatica a crederci: il signor primo ministro anche questa mattina si è guardato allo specchio e si è detto che tutto va bene? Venga anche qui a fare un giro, ogni tanto.
Comunque il professore di storia è davvero straordinario e io certamente ho avuto la mia solita fortuna. Ma ho pensato così troppo presto. Il prof straordinario ha avuto notizie precise: cari dottori, sarà necessario che si svolgano altre lezioni, ogni tanto, in pomeriggi diversi. Non solo, avrete a disposizione solo un bonus assenza per ogni corso frequentato; ciascuno di voi dovrà sostenere al termine di ogni corso un sacrosantissimo esame e non potrete avere che una possibilità d’errore eventuale; ciascuno di voi, infine, scriverà una bella tesi al termine di tutto il suo lavoro qui con noi.
Ci guardiamo negli occhi: saremo come superman, altro che dottori in lettere: mai ammalati, mai sbagliati, mai stanchi. Ma non basta: il tirocinio si farà, ci comunica il prof; anche per quelli che insegnano già o già hanno insegnato. E, attenzione: poiché voi potrete lavorare alle medie e alle superiori, ne farete ben due. Orco cane, porca miseria, anche ubiqui diventiamo, non ci facciamo mancare niente. Beh, saranno poche ore in un mese, pensiamo. No, quattrocento. Cosa? Quattrocento ore fa una cosa come un semestre pieno di insegnamento: come si fa? Vuoi vedere che hanno pensato a noi anche per trasformare l’acqua in vino nel caso alla mensa universitaria finisse?
Sta scherzando, dico al professore che amo già un po’ di meno. Ma lui dice di no, che non è colpa sua. Ma che comunque poi si vedrà: tempi e modi del verbo vedere si ripetono uguali e noiosi per sempre? Davanti a un aperitivo analcolico che ancora riesco a permettermi con qualche mio amico tra le vie piene di gente ignara del fatto che vicino a lei vive il vero supereroe del Paese, lo racconto ai miei amici Carlo e Lorenzo. Non ci credono. E chi ci crederebbe? Ridono e pagano loro. Una roba così, val bene la pena, mi dicono. Pensa, sarai professore abilitato, mica di ruolo, certo, ma potrai avere magari una supplenza per un anno intero, riuscirai a farti prendere in giro dai giovanotti che arriveranno alla tua scuola con il Suv mentre tu arrivi in metro, certamente qualcuno dei genitori arriverà a minacciarti perché non avrai dato la mappa speciale cognitiva per il figlio che ha perso l’orientamento chissàcomechissàquando. Ma per milletrecento euro al mese ne vale davvero la pena.
Come faccio a dare torto al Carlo e al Lorenzo? Come faccio a dirgli che questo mestiere mi piace più di ogni altra cosa e che però è tutto vero quello che dicono e lo si vede già adesso, da come ci trattano qui, tra porte chiuse e caloriferi spenti, tra lezioni strepitose ma inutili forse per imparare davvero a diventare quello che voglio diventare? Carlo riparte con la sua moto, Lorenzo mi accompagna alla metro. Ci vediamo la prossima settimana, mi dice. Come faccio a saperlo? O forse dovrei, visto che ormai sono un supereroe. Forse ha ragione il signor primo ministro, forse comincio a fare finta anch’io che tutto migliora? Ma è solo un attimo: so subito che ho da correggere anche i compiti dei miei alunni e, visto che la mia squadra di calcio oramai il mercoledì sera si raduna per il torneo di briscola ad Appiano Gentile, correggerò stasera mentre gli altri giocano la Champion.
Dentro questa cupa tristezza mi viene da mandare un augurio ai ministri: e se un giorno anche per loro saltasse fuori un bel Tfa? Ma è solo un attimo: non sono una iena, un augurio di un imprevisto così non si manda a nessuno, soprattutto a chi si riflette allo specchio ogni mattina e si dice che ce la faremo. Chissà, se ce la faremo. E, invece che Montale, mentre mi avvio, mi viene in mente un altro, un cantante pelato e bassino, che si faceva domande: cosa sarà che ci spinge a cercare, cosa sarà ecc. ecc. Cosa sarà?
(2 – continua. Leggi la prima puntata)